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Anno edizione: 1993
Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2002
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Il giorno della civetta è uno di quei libri per chi vuole senza remore conoscere il fondo di un'italia malata e dannosa non solo ad una parte di essa. Sciascia ci accompagna ad una dura avventura perseguita da un commissario Emiliano, mostrandoci i pensieri degli eventi sia da parte dei mafiosi, sia dalla parte dei politici e sia dalla parte degli "uomini veri". Per quanto mi riguarda la vedo anche come denuncia di una vera e propria complicità amichevole che esiste fra lo stato e la mafia (ed ancora oggi esistono sospetti validissimi). Insomma si fanno bene a vicenda. Da studiare a scuola. E come scrive Sciascia "...per scoprire quanto è incredibile l'italia, si deve andare in Sicilia".
Alla popolarità del racconto di Sciascia ha contribuito sicuramente la versione cinematografica che Damiano Damiani ne ricavò nel 1968. Chi lo ha visto, difficilmente potrà leggere il libro senza immaginare il capitano Bellodi con la faccia di Franco Nero e "parrinieddu" con quella di Serge Reggiani. Qualche lettore, probabilmente non siciliano, ha lamentato la poca "sicilianità" del testo, citando per contrasto Camilleri. Ma qui c'è un equivoco. La sicilianità esibita nella prosa camilleriana non è meno potente nel racconto di Sciascia, nelle allusioni, nei costrutti sintattici, nell'atmosfera che vi si respira. E' una Sicilia che non esiste più nelle forme rappresentate dall'autore, ma non ha perduto un grammo del suo valore etico e letterario.
"Il giorno della civetta" è un romanzo breve di Leonardo Sciascia, al tempo stesso il suo primo romanzo e il suo libro più celebre. Tramite l'artificio narrativo, tra l'altro ispirato a un paio di personaggi realmente esistiti, spiega in modo magistrale che cos'è la mafia ed è quasi profetico nell'indicare come metterla in difficoltà. Dunque in questa recensione non aggiungo altro di mio e lascio parlare l'Autore, invitando tutti alla lettura del libro. "La famiglia è l'unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è fuori: entità di fatto realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio militare, la guerra, il carabiniere." (pp. 101-102) "Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti (...) annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Soltanto così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi... In ogni altro paese del mondo, una evasione fiscale come quella che sto constatando sarebbe duramente punita". (p. 108) "Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... E sale (...) questa linea della palma (...) su su per l'Italia, ed è già oltre Roma". (pp. 125-126) "La mafia era, ed è (...) un "sistema" che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel "vuoto" dello Stato (...) ma "dentro" lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta." (p. 137) A Leonardo Sciascia (Racalmuto 1921 - Palermo 1989)
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