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Anno edizione: 2024
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Pubblicato nel 1977, Le venti giornate di Torino è un romanzo inquietante, profetico in modo inspiegabile, principale opera di un autore che a questo libro ha legato il suo destino. Sostanzialmente ignorato dal grande pubblico ma adottato da una piccola comunità di lettori, a partire dal 2017 è stato ripubblicato in Italia e per la prima volta anche negli Stati Uniti e in Francia.
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In una Torino dove alcuni riferimenti «monolitici» (e, se vi prenderà la curiosità di leggere questo testo, vedrete che l'aggettivo è decisamente calzante) sembrano aver mutato sede nel tempo, c'è un anonimo che sta tentando di ricostruire le misteriose vicende di dieci anni prima, note come le venti giornate del titolo. Al centro di queste c'è una Biblioteca (assai particolare in verità), ove ciascuno, dietro piccoli compensi, può prendere e depositare una sorta di diari personali e, se desidera, mettersi in contatto con chi li ha scritti. Sembrerebbe un'iniziativa socialmente utile, non fosse per il carattere «estremamente» personale degli scritti stessi - una grottesca anticipazione dei social network (siamo nel 1977) - che negli adepti ingenera un'ondata di psicosi collettiva, in cui il limen col soprannaturale sfuma. All'inizio in medias res segue un climax di panico - più che di terrore - che intrappola il lettore in un accumulo di bizzarrie che, se in apparenza vogliono dipanare la matassa, nella fattispecie aggiungono nuovi elementi alla scena, per poi perdere un po' di mordente nella parte conclusiva della vicenda. Non ne deriva tuttavia un eccesso, quanto piuttosto la dettagliata visuale su di un complesso fenomeno sociale e antropologico, la cui spiegazione è persino più spaventosa del fenomeno stesso. Perché poi Torino, si chiede il protagonista? Forse perché isolata, tagliata fuori dalle direttrici di respiro europeo e perfetta per un esperimento...
Questa novella ha saputo intrigarmi praticamente dall'inizio alla fine, complice anche la sua brevità ma diverse cose mi hanno fatto storcere il naso. Per prima cosa lo stile, che avrei voluto più diretto, inoltre in ogni capitolo l'autore tende a dilungarsi troppo, parlando di piccolezze che hanno finito per annoiarmi un po'. E poi il finale un po' scialbo.
Non si comprende dove finisce la cronaca (nera) e dove comincia il romanzo fantastico. Non saprei se è un pregio o un difetto. Alla fine sembra ne' carne ne' pesce.
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