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Anno edizione: 2018
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Contrariamente alla vulgata che definisce “Tutti giú per terra” — l’esordio letterario di Culicchia — un romanzo di formazione, troviamo conferma che non sia tale proprio leggendo l’introduzione dell’autore stesso, aggiunta in occasione del cambio editoriale da Garzanti a Einaudi, nella quale confessa che il libro fu il risultato di un collage di diversi racconti all’epoca scartati dalla pubblicazione in un’antologia curata dal Tondelli, nei quali i protagonisti erano diversi, e furono ricondotti unitariamente al Walter di TGPT pregiudicando in tal modo qualsiasi cambiamento interiore logico. Il ventenne protagonista, difatti, in una Torino di fine anni Ottanta, passa da una situazione (marginale) all’altra — la lettera per il militare, l’università, il servizio civile, la discoteca, la libreria, etc. — senza alcuna evoluzione psicologica, mantenendosi a galla in un mondo precario, del quale — questa volta forse a ragione — il libro viene considerato una prima attestazione letteraria generazionale, tanto da diventare modello per altri autori (sospettiamo Zerocalcare, fra gli altri), magari attraverso il film che ne fu tratto.
Fin dal suo esordio letterario, l’autore piemontese Giuseppe Culicchia, attraverso la narrazione delle gesta di Walter, D’Artagnan contemporaneo nonché primo precario della letteratura nostrana, ha dimostrato ironia e sagacia. Decidendo di svolgere il servizio civile piuttosto che l’anno di leva, “per le trecentomila lire di differenza”, inizia qui, per il protagonista, il calvario nel mondo del lavoro, tra le pretese assurde di un datore di lavoro traffichino e colleghi che ne sanno più di lui. Alla fine del romanzo, un barlume di speranza? Sia data al lettore libera interpretazione.
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