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Anno edizione: 1997
Anno edizione: 2015
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«Racconta Stanislavskij che alla fine della prima lettura delle Tre sorelle gli attori piangevano, ed esclamavano “che dramma!” o “che tragedia!” A tali parole Cechov si rabbuiò, si alzò e usci dal teatro. Stanislavskij, che lo rincorse fino a casa, lo trovò non solo afflitto e depresso, ma fuori di sé. Aveva scritto un vaudeville , e gli attori lo prendevano per un dramma! (Questa reazione mi ricorda quella, op- posta, dei “conoscitori” romani di Cechov, che alle recite delle Tre sorelle lanciavano sguardi terribili e scandalizzati ai malcapitati in mezzo al pubblico che osavano ridere a situazioni e a battute scritte per far ridere)». Dalla Prefazione di Gerardo Guerrieri
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Come anche nelle precedenti opere, i personaggi sono magistralmente realizzati. «[Čebutykin] si svela a poco a poco. Ma resta ambiguo fino in fondo. Come altri personaggi di Čechov, è così vivo proprio perché alcune delle sue motivazioni restano in ombra.» (Gerardo Guerrieri) Vivi e umani. Non c'è nessun vero protagonista, ce ne sono tanti. Non c'è nessuno che sia migliore di altri, ce ne sono invece almeno un paio peggiori di altri. Un po' questo disorienta: non si sa dove aggrapparsi, dal punto di vista di chi guardare la scena. Questo spiazza e colpisce. In questa pièce ho trovato anche un'eccezione. Un chiaro pensiero, una visione di vita di Čechov. Mai capitato prima. «Io [Veršinin] vedo invece il mondo cambiare lentamente - cambia già sotto i nostri occhi - finché fra due-trecento anni, mille, quando sarà, sulla terra comincerà una vita nuova, felice. Alla quale noi non possiamo partecipare, d'accordo. Ma che facciamo noi, in fondo, vivendo, se non lavorare per essa, soffrire per essa, in definitiva, crearla? In questo solo sta lo scopo della nostra esistenza, e, anche, se lei vuole, la nostra felicità.» Come argomenta bene Guerrieri, Veršinin incarna il discorso čechoviano sul futuro, presente in più parti dei suoi Taccuini. In essi si ritrova anche un pezzo di dialogo tagliato in riferimento alla necessità di credere in Dio, pensiero raramente rintracciabile nel Čechov scrittore. «L'uomo sbaglierà direzione, cercherà il suo fine, sarà insoddisfatto finché non capirà, non avrà trovato Dio. Non si può vivere per i figli o per l'umanità. E se Dio non c'è, non c'è motivo di vivere, bisogna morire.»
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