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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2023
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Come classificate i libri che leggete? Avete delle categorie particolari: libro perfetto per il pomeriggio, di pioggia, o libro che mi porto dietro quando devo stare da solo in un posto pubblico e voglio darmi un tono? Io ho una categoria favorita, la chiamo "sottile edonismo del mattino" e ci metto dentro tutti quei libri che non vedo l'ora di leggere appena sveglia. "Un romanzo russo" scritto da Carrere e pubblicato da Adelphi rientra a pienissimo titolo in questa categoria. Le premesse potrebbero non sembrare dell'autore, infatti dice che inizia a scrivere per sfuggire all'orrore e alla follia che da sempre attanagliano la sua vita. Per farlo comincia a scrivere un reportage sul curioso caso di un prigioniero di guerra ungherese che è rimasto dimenticato in un ospedale psichiatrico russo per più di 50 anni. Tutto quanto in questo libro è destinato alla catastrofe e dove sta l'edonismo, vi chiederete voi? Be' sta nel modo di scrivere di Carrere. Immaginate il vostro cibo preferito, sentitelo mentre vi si scioglie sulla lingua e attraversa tutto quanto il vostro corpo... perfetto: la stessa sensazione la potete vivere leggendo un libro di Carrere.
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Se Carrere si fosse limitato a scrivere solo della sua storia d’amore disfunzionale, tossica e malata sicuramente mi sarebbe piaciuto. Purtroppo tutto il resto l’ho trovato deludente e senza nè capo nè coda, ho capito il fine ultimo del libro ma avrebbe potuto farlo senza partire dalla storia dei suoi avi
Un libro doloroso, come la sofferenza inflitta o consapevolmente negata. Leggendolo seguiamo i passi di chi si reca verso la trappola costruita apposta per sé, al ritmo di una profezia che si autoavvera. Nel cuore della trama ci imbattiamo in un racconto erotico perverso e magnifico, come sa essere il piacere che scaturisce dalla sensazione del controllo su qualcuno - o di qualcuno su di noi -. Ma che, come le migliori sciagure che siamo noi ad autoinfliggerci assaporandone in anticipo l’amarezza, si tramuterà nell’epitaffio della relazione che si era creduta - o voluta credere - salvifica. Da qualche parte ho letto che gli antichi mozzavano la testa a chi portava cattive notizie. Immaginiamo cosa accade se siamo noi ad autoannunciarci le sventure prima ancora che si verifichino. Inquietudine e insicurezza sono i demoni che dimorano in chi si chiede se per lui “scrivere non voglia dire necessariamente uccidere qualcuno”. Perché non esiste - quantomeno non per tutti - la possibilità di “comprare il biglietto per dare a Dio la possibilità di salvar[c]i”. Ma - questo forse, sì - è alla nostra portata decidere di uscire dalla pancia materna, dove viviamo raggomitolati “nel sonno, nella prostrazione, nel calore, nell’immobilità. Beat[i] e spaventat[i]”, e deliberare che “è arrivato il momento di uscire. Come il paralitico del Vangelo, che ha passato la vita in un letto a lamentarsi inutilmente, finché non è arrivato qualcuno a dirgli: alzati e cammina, e allora lui si alza e cammina”. Un libro da cui non ci si riesce a staccare, come accade con gli incubi, quando una forza maggiore della nostra volontà ci trattiene dall’aprire gli occhi anche quando saremmo liberi di farlo. E il sottofondo in perfetta assonanza è una cupa ninnananna russa.
Libro che interseca la storia di famiglia, della relazione e di un film. La scrittura fluida e coinvolgente trasporta il lettore tra le tre storie e il senso di disperazione dell'autore.
Recensioni
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