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Sotto un diluvio che non concede tregua, circondati da nemici e nonostante dolorosi problemi personali, i formidabili poliziotti del commissariato di Pizzofalcone si districheranno fra segreti, ipocrisie, rancori. Arrivando a scoprire una verità quanto mai inaspettata.
«Non smetterà mai di piovere. Continuerà per sempre. Non sarà più possibile uscire all’aperto, l’acqua salirà, raggiungerà i piani alti dei palazzi, tutti moriranno e l’umanità si estinguerà insieme agli animali in terra. Sopravvivranno solo i pesci. Non smetterà mai di piovere, e non importa. Sarà meglio, anzi, così questa maledetta città si laverà, alla fine».
Leonida Brancato era stato un penalista imbattibile. Il re del cavillo, lo chiamavano. Quando era andato in pensione, in procura avevano fatto festa. Da anni non si sapeva più nulla di lui, ma ora qualcuno lo ha ucciso e ha infierito sul suo cadavere. Un omicidio che appare privo di movente e che mette di nuovo alla prova i Bastardi.
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Con “Pioggia”, De Giovanni non intende riferirsi solo alla precipitazione atmosferica uggiosa e torrenziale che, pressoché incessantemente, fa da sfondo, da scenario acqueo vaporizzato, alle vicende narrate. E lo dichiara subito, già nelle prime righe: la pioggia la intende invece come sentimento. Una emozione che fa solo da unione come un comune denominatore, i fatti accadono velati dalle gocce più o meno grosse e fitte, e vengono descritti come dall’esterno di un acquario; tuttavia, la loro visione non risulta affatto distorta, le vicende fluttuano regolarmente in onde sinuose ed eleganti. I rovesci riversati dai nuvoloni grigi, insistenti fino all’ultima pagina, sono essenziali alla trama perché sono perturbazioni, certamente, ma dell’anima dei personaggi. Sono cateratte d’acqua che scuotono il telaio interiore di protagonisti e comprimari, molto più che rivoli tumultuosi che, come cascate, si scaricano per devastare strade, paesaggi e intelaiatura di una città a torto considerata desueta a certi accadimenti atmosferici. De Giovanni racconta la storia dell’acquazzone intrinseco che talora tuona improvviso in chiunque di noi, e rivolta a galla ricordi, pensieri, rimpianti, rimorsi. Il bene compiuto è bello pesante, sta a fondo, non riemerge, ma il male è banale, perciò fatuo e leggero, galleggia, e scatena tempesta. Si scatena nel proprio interno un’alluvione di sentimenti che tutto travolge e rivolta, portando in vista alla propria coscienza, alla personale consapevolezza, umori sopiti, brividi improvvisi, emozioni dimenticate di vario colore, spesso quelle più nere. Non è una tempesta che, ritiratosi le acque, lascia al suolo nel suo rifluire negli argini del limo buono e fertile, è temporale invece che fa male, acqua che può trasmutarsi in geyser, erutta bollente dal profondo allorché trova il canale adatto per riversarsi all’esterno, e scotta, fa male. Spinge ad uccidere, e così ustiona vittima ed assassino, li deturpa entrambi. E fuori nevica.
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