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Questo libro porta il lettore direttamente nel sud del mondo e pone tante riflessioni a chi lo legge. Oltre a ricordare episodi che non fanno onore a chi li ha causati (Rainbow Warrior).
Questo libro è perfetto, non ho niente da dire.
La lettura di un libro di avventure, Moby Dick di Herman Melville, dà il la ad un viaggio ai confini del mondo, nella Terra del Fuoco, di un ragazzino cileno inesperto e coraggioso. Molti anni più tardi, lo stesso viaggio viene nuovamente affrontato dal narratore protagonista, ormai divenuto adulto, esule politico in Germania e giornalista indipendente impegnato in cause ecologiche. Secondo quanto riferito da una corrispondente cilena, la nave officina giapponese Nishin Maru, vecchia conoscenza di Greenpeace dedita alla caccia alle balene, è approdata a Puerto Montt riportando numerosi feriti e 18 morti tra i membri dell’equipaggio. Mentre il governo cileno decreta la censura informativa sull’evento, e la stessa nave è avvistata in rotta verso il Madagascar, un misterioso marinaio chiede aiuto ai membri di Greenpeace perché accorrano a vedere con i propri occhi le vestigia di una tragedia che non può essere raccontata. Le distanze fanno male solo quando sono associate a dei ricordi”: se il primo viaggio del protagonista verso il sud ha la dimensione spensierata ed elettrizzante di un’avventura adolescenziale, il secondo ha la consapevolezza del nóstos, il viaggio di ritorno che ogni esule brama e teme al tempo stesso, nella paura che la realtà tradisca il ricordo della patria, la memoria all’origine della storia personale. In questo viaggio, che ha insieme la concretezza di un diario di bordo e l’aspetto mitico di un’antica leggenda marinara, il protagonista è accompagnato e guidato dal capitano Nilson, un vendicatore solitario nato su una barca e la cui terra è il mare. Tra fiordi labirintici, coste frastagliate, gelidi venti australi, cetacei ed uccelli marini, il mondo alla fine del mondo è un mondo primordiale, in cui una natura terribile e grandiosa si ribella all’arroganza umana profanatrice della vita delle popolazioni indigene e della fauna locale. Ma il mondo alla fine del mondo è anche il mondo delle origini dove l’uomo, consapevole della propria effimera e fragile esistenza, può riscoprire un senso di appartenenza e di piena armonia con la natura, “sorgente di una forza e di una sicurezza sconosciute”.
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