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Il primo non-uomo ha accesso a tutto quello che si può sapere.
«Il romanzo che parla della cosa che McEwan conosce meglio: il bisogno primario del romanzo» – Robinson
«Geniale e sensibile... un dramma domestico retrofuturista che si monito intenso su temi quali intelligenza artificiale, consenso, giustizia» – The New Yorker
«Con Macchine come noi Ian McEwan ha scritto un altro capolavoro, un romanzo (sovrumano) di intelligenza sentimentale» – Antonio D'Orrico, La Lettura
«Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno»
Con l'eredità che gli ha lasciato sua madre, Charlie Friend avrebbe potuto comprare casa in un quartiere elegante di Londra, sposare l'affascinante vicina del piano di sopra, Miranda, e coronare con lei il sogno di una tranquilla vita borghese. Ma molte cose, in questo 1982 alternativo, non sono andate com'era scritto. La guerra delle Falkland si è conclusa con la sconfitta dell'Inghilterra e i quattro Beatles hanno ripreso a calcare le scene. E con l'eredità Charlie ci ha comprato una macchina. Bellissima e potente, dotata di un nome e di un corpo, la macchina ha intelligenza e sentimenti e una coscienza propri: è l'androide Adam, creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza. La sua stessa esistenza pone l'eterna domanda: in cosa consiste la natura umana? Londra, un altro 1982. Nelle isole Falkland infuriano gli ultimi fuochi della guerra contro l'Argentina, ma per le vie della città non sventoleranno le bandiere della vittoria. I Beatles si sono da poco ricostituiti e la voce aspra di John Lennon continua a diffondersi via radio. Anche il meritorio decrittatore del codice Enigma, Alan Turing, è scampato alla morte precoce, e i suoi studi hanno reso possibili alcune delle conquiste tecnologiche di questi «altri» anni Ottanta, dalle automobili autonome ai primi esseri umani artificiali. Fra chi non resiste alla tentazione di aggiudicarsi uno dei venticinque prototipi esistenti nel mondo, dodici Adam e tredici Eve, c'è Charlie Friend. Certo, un grosso investimento per un trentaduenne che si guadagna da vivere comprando e vendendo titoli online. Ma Charlie è convinto che quel suo Adam bellissimo, forte, capace in tutto, «articolo da compagnia, sparring partner intellettuale, amico e factotum» secondo le promesse dei costruttori, gli sarà di grosso aiuto con l'affascinante ma sfuggente Miranda, la giovane vicina del piano di sopra. Per certi versi non ha torto. Il primo non-uomo ha accesso a tutto quello che si può sapere, dalla soluzione del problema matematico P e NP, all'influenza di Montaigne su Shakespeare, fino al modo di vincere le resistenze di Miranda e penetrarne il segreto. Un segreto complicato e doloroso che, quando emerge, pone ciascuno di fronte a un dilemma etico lacerante. Ma la legge piú inviolabile dell'androide recita: «Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno». E per un'intelligenza artificiale tanto sofisticata da anteporre la coscienza alla scienza, il concetto di danno può essere piú profondo e micidiale di quel che appare.
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Il romanzo è una riflessione profonda e spesso inquietante sulla nostra società e sul futuro della tecnologia. McEwan riesce a mescolare elementi di dramma familiare, thriller e fantascienza, creando una narrazione avvincente e ricca di spunti di riflessione.
McEwan approccia il tema dell’intelligenza artificiale dal lato umanistico, privilegiando le questioni relazionali ed etiche. Non che gli manchino conoscenze scientifiche: tra le pagine si disserta di teoria della complessità computazionale e machine learning, di reti neurali e fisica quantistica. L’attenzione però non è sul modo in cui il cervello di Adam è stato costruito, ma sulla sua mente, sulla possibilità che emerga una coscienza di sè, frutto di una programmazione di base su cui si innestano apprendimento ed esperienza. L’esistenza umana non si ferma certo alla teoria dei giochi: gli scacchi sono un ambito delimitato da regole precise, mentre il vivere sociale richiede abilità comunicative ed interpretative che un bambino acquisisce meglio di quanto forse possa fare un androide. Senza contare l’esperienza del male e del dolore, tanto sconcertante da condurre le menti artificiali ad una sorta di suicidio. La trama della vendetta che scorre tra I capitoli, dando un tocco di mistero al romanzo, è l’elemento che porta alla resa dei conti. Adam è l’immagine perfezionata in cui gli artefici umani si specchiano: a lui compete un’etica rigorosa ed assoluta, la cui applicazione può essere sorprendentemente dura per esseri imperfetti, abituati al compromesso. McEwan si tiene lontano dagli stilemi della sf e sceglie come ambientazione un retro-futuro ucronico su cui proietta le tendenze del presente, giocando coi destini di vari personaggi storici, a partire da Turing, padre degli studi sull’IA, cui viene concessa una seconda vita letteraria quanto mai intrigante. Come recita l’ultimo haiku di Adam, la stagione dell’avvento delle IA promette a loro la primavera, a noi umani l’inverno. Non è necessariamente una condanna: la convivenza forse porterà a una forma di post-umanesimo ancora da immaginare. Il presente intanto conferma che McEwan è un grande scrittore, un eccellente romanziere che attinge la sua materia dall’imperfetta e cangiante esistenza umana.
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