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Anno edizione: 1986
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2016
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«A tutti i lettori che desiderano qualcosa di inaudito, che li porti di colpo oltre i confini della realtà; a tutti i lettori appassionati, annoiati, sazi, entusiasti, drammatici, frivoli, passeggeri, costanti – consiglio questo bellissimo libro, uno dei pochi destinati a onorare la letteratura italiana del dopoguerra. È stato pubblicato venti anni fa; ma sembra che nessuno l’abbia mai comprato, nessuno l’abbia mai letto. È come la principessa della fiaba, la cui bellezza si nasconde dietro gli stracci e la cenere. Soltanto alcuni happy few hanno alzato il velo grigio, hanno scosso con la mano la cenere, e sostengono che è un capolavoro» - Pietro Citati.
Quando il giovane milanese Aleardo, di famiglia ricca, nobile e illuminata, decide di approdare con il suo yacht nella sperduta isola di Ocaña, al largo del Portogallo, non sa quale inusitata avventura, e quale incontro fatale, lo attendano. Fino a quel momento, egli è «il compratore di isole», sempre incerto su quale comprare, perché Aleardo è sì facoltoso, ma anche rispettoso della generale dignità del creato e non vorrebbe turbarlo con indiscrete iniziative. Come giocando, un suo amico editore lo aveva sfidato a fornirgli un manoscritto capace di risvegliare i lettori intorpiditi per eccesso di offerte: e precisamente «le confessioni di un qualche pazzo, magari innamorato di una iguana». Appunto l’iguana attende Aleardo nell’isola di Ocaña, sotto forma di una «bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna, con una sottanina scura, un corsetto bianco, palesemente lacero e antico, e un grembialetto fatto di vari colori». Quell’iguana, come la prima materia dei testi alchemici, è ciò che di più vecchio e insieme ciò che di più giovane si possa trovare nella sostanza del mondo, è la natura stessa nel suo perenne invito alla «fraternità con l’orrore». Intorno a questa principessa-servetta e al suo principe illuministico e bisognoso di iniziazione la Ortese ha intessuto una perfetta favola romantica, genere fra i più ardui, che già aveva tentato vari grandi scrittori di lingua tedesca, da Novalis a Hofmannsthal, mentre in Italia non sembra aver attirato nessuno, forse anche per la profonda estraneità della nostra letteratura alla vena fosforeggiante del romantico. L’Iguana fu pubblicato per la prima volta nel 1965, incontrando una generale incomprensione. Oggi sappiamo che questo romanzo, nella sua impeccabile commistione di incanto e ironia, è destinato a rimanere un approdo felice per chiunque ami la letteratura.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Penso che bisogna essere appassionati di Ortese prima di affacciarsi a questo romanzo, sicuramente non lo consiglierei per prima lettura
Libro decisamente ostico sia per lo stile, abbondante di lunghe subordinate che, a volte, fanno perdere il filo della frase e sia per la trama che, soprattutto nella parte finale, ho trovato ingarbugliata. Alla fine, ho cercato delle critiche letterarie che confermassero o meno ciò che credevo di aver compreso ma ho scoperto che è un libro pressoché sconosciuto sin dalla sua prima pubblicazione. Proprio per la sua complessità, infatti, venne snobbato sia dalla critica che dal pubblico. Ciò che ho trovato in rete, suggerisce che l'iguana rappresenti la Natura ma questa visione mi lascia perplessa perché, a mio parete è solo una delle sfaccettature della bestia., Personalmente ho dedotto che, scegliendo questo animale, rettile dotato di arti utili alla narrazione, la Ortese abbia voluto richiamare il concetto atavico di Male, ovvero il serpente nell'accezione di corruzione, deviazione dalla retta via. Cerco di spiegarmi meglio: non è che Estrellita fosse veramente una iguana ma il suo passato (che non viene mai esplicitamente raccontato e, pertanto, si va per immaginazione in base alle parole poco gentili dei protagonisti maschili), nel tempo, ha dato questa forma il suo aspetto esteriore: la lascivia, la povertà, l'ignoranza hanno trasformato una bellissima giovinetta (che per un attimo vediamo attraverso gli occhi di Daddo) in un essere "inferiore". Questa suggestione mi deriva dal fatto che anche il "corruttore", ha una doppia forma: quando il suo animo è malinconico virante al pessimismo, non solo i suoi abiti sono laceri e dozzinali ma sul suo volto di giovane diciottenne appare un intrico di rughe e i capelli si fanno d'argento. Ma quando la superbia della sua nascita si risveglia, il portamento è elegante, altero ed i suoi panni, fin nei minimi dettagli, indicano la sua aristocratica origine. I piani di lettura sono molteplici e merita una seconda lettura per tentare di capirli.
La Ortese - un po' come "la morte a Venezia" per Mann e "Le notti bianche" per Dostoevskij - rimane una scrittrice ricordata per un'opera assolutamente minore (ma non brutta) come "Il mare non bagna Napoli". Eppure di roba pazzesca ne ha scritta una marea. Un esempio - o meglio l'esempio: "L'iguana". Questo libro è una delle più belle modulazioni della lingua italiana, in continuo gioco scherzoso nell'ambiguità tra reale e immaginario (con atmosfere tipiche del cinema onirico di Lynch, del cinema grottesco di Greenaway, del cinema estraniante di Apichatpong Weerasethakul - ah, giusto ricordarlo, l'ha scritto parecchi anni prima dell'apparizione di questi registi)
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