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Anno edizione: 1987
Anno edizione: 2015
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Accolta gelidamente alla prima assoluta di Monaco (1891), poco amata in Scandinavia per la sua estraneità culturale e di costume, in Italia Hedda Gabler , pur non divenendo mai popolare, fu comunque assunta tra i cavalli di battaglia delle primedonne, a cominciare dalla Duse, né mancò di turbare la critica contemporanea: «simbolica e realista», «pallida, elegante, fredda», disse Giovanni Pozza; e Scipio Slataper, nella sua tesi di laurea su Ibsen , parlò di “isterica passione”, di “qualche cosa che ci fa star zitti e meravigliati”. Nel riproporre questa figura di donna gelida e asessuata, amante della vita come eroina dell’estetismo, Franco Quadri ne percorre e analizza, nella sua nota introduttiva, la vicenda ormai secolare sulle scene italiane.
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Hedda è cinica, rabbrividisce se le nominano l’amore, priva di istinto materno. La figlia del generale Gabler è una donna di ferro, determinata, che si è sposata solo perché lo esige la società; ma suo marito, Jorgen Tesman è un mediocre che la condanna ad una vita noiosa perché povera di risorse e di socialità. L’unico modo per sentirsi viva, per stringere tra le mani il proprio destino è di possederne un altro ovvero quello di Ejlert Lovborg impegnato nell’arduo tentativo di rifarsi una posizione sociale dopo trascorsi viziosi. Avere su di lui - che una volta era il suo amante - potere di vita e di morte, plasmare il suo destino a proprio piacimento è l’unica cosa che le interessi veramente, ma il destino la beffa ancora: la fine tragicomica di Ejlert le mostra come “il ridicolo e la volgarità colpiscono come una maledizione tutto ciò che ho toccato”.
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