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Anno edizione: 2015
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La particolarità di questo romanzo di Simenon, piuttosto breve in effetti (e qui potrebbe essere il suo unico difetto), è che la storia, quella profonda, quella risolutiva, non viene raccontata, affiora appena da qualche immagine buttata lì, oppure si svela di riflesso ad azioni di apparente poco conto. Un gioco di rimandi dunque, dove lei, l’assoluta padrona anche della scena, si muove come un gatto, sempre sicura, mai titubante. Non un solo momento di turbamento si legge sul volto o nell’anima della vedova Pontreau. E sarà un’altra donna a bilanciare la figura dispotica della protagonista, una domestica un po’ squilibrata, che vive di grandi agitazioni, di rabbie, di scoppi e che si proporrà come il suo alter ego a voler confermare la presenza del doppio, firma immancabile del Simenon romanziere.
La provincia francese fa ancora una volta da sfondo a un noir del tutto particolare, atipico nella produzione di Simenon, in cui giganteggia una figura femminile tutta d’un pezzo, dotata di una forte personalità. La vedova Pontreau, che ha sempre condotto una vita in miseria, ma con estrema dignità, anzi con un portamento permanentemente altezzoso, ha l’occasione di dare una svolta alla sua esistenza e a quella delle sue tre figlie, grazie al matrimonio di una di queste con il diafano Jean Nalliers, figlio di un ricco proprietario terriero e che per l’occasione ha ricevuto in dono dal padre una grossa fattoria (La Pré-aux-Boeufs). Il novello sposo purtroppo soffre di una malattia neurologica, un tempo chiamata piccolo male, ma scientificamente conosciuta con il termine di epilessia. Si da il caso che durante la mietitura Jean, arrabbiatosi con un lavorante, avverta l’inizio di una crisi e si trascini fino al granaio, dove cade a terra in stato di incoscienza e dove lo trova la suocera, a cui sorge l’idea di liberarsi del genero onde impadronirsi della terra. Si limita a spingerlo attraverso una finestra così che cada di sotto e si spiaccichi sul selciato. Questo è sostanzialmente l’antefatto su cui Simenon sviluppa un romanzo che è prettamente al femminile, visto che i protagonisti, fatta eccezione per un procuratore, per un medico e per il padre del morto, relegati però a figure di comprimari, sono tutti femminili: le tre ragazze Pontreau, di cui la più giovane e minorenne Viève fuggirà di casa con il suo innamorato per non concludere l’esistenza nel grigiore di ogni giorno, a differenza della sottomessa Hermine e della psico labile Gilberte, vedova di Jean, che prima di consumarsi totalmente nel lutto si toglierà la vita; la serva svampita, per non definire pazza, Naquet, che qualcosa deve aver visto o sapere, circostanze da cui intende trarre profitto, e sopra di tutte un gigante imperscrutabile, ansioso di dominare e di essere obbedito, cioè la vedova Pontreau. Non c’è che dire, Simenon si barcamena bene fra queste donne, con pochi tocchi di pennello ne delinea i contorni e i caratteri e dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità di sondare l’animo umano, di rivoltarlo come un calzino, di gettare in pasto ai lettori anche gli angoli più nascosti e segreti della psiche. L’omicidio, la ricerca del colpevole sono solo un pretesto per completare un ritratto di donna in cui più d’uno ha creduto di ravvisare la madre dell’autore. Da leggere, lo merita.
Splendido Simenon non ha bisogno di spessore della trama, l'attenzione, l'ammirazione del lettore convergono prevalentemente nei personaggi. Una vicenda subito nota che incalza pagina dopo pagina, con uno stile che tratteggia il mistero tinto di giallo, sebbene poi magari ci si ritrovi a galleggiare amabilmente nel nulla. Eppure la forza dei protagonisti e' infrangibile, la penna sovrasta la mera narrazione psicologica e crea attori e comparse in modo vivido, tridimensionale. E' un piacere lampante abbandonarsi ai personaggi di Simenon, bravissimo a proporci il potere di una donna , senza ripensamenti, senza rimpianti, a testa alta nel suo incedere calmo, freddo e deciso
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