Attore statunitense. È uno dei «grandi di Hollywood» per la lunga e gloriosa carriera, quasi cento film, cominciata con ruoli d'azione e passata attraverso l'epica della frontiera, del gangster-movie e di alcuni fra i più celebri drammi di scuola statunitense fino alla profondità di un autore come L. Visconti. Acrobata e girovago per circhi assieme al fratello, forgia in gioventù una muscolatura possente e prende confidenza con la mimica e le posture sceniche prima di andare a combattere nella seconda guerra mondiale. Nel 1946 compare in I gangsters di R. Siodmak e già l'anno dopo giganteggia da protagonista in Forza bruta, capolavoro del film carcerario diretto da J. Dassin. I lavori seguenti sono praticamente tutti dei «classici» nei quali L. sfaccetta e sempre meglio padroneggia le intenzioni recitative. In Il terrore corre sul filo (1948) di A. Litvak è il marito assassino che in un'ora e mezza di ininterrotta suspense minaccia la moglie B. Stanwyck, mentre in Il corsaro dell'isola verde (1951), ancora di Siodmak, esalta le sue doti acrobatiche che poi tempera e drammatizza in western da antologia come L'ultimo Apache (1954) e Vera Cruz (1954) entrambi di R. Aldrich, e Sfida all'O.K. Corral (1957) di J. Sturges. Intanto gli anni e l'esperienza arricchiscono la sua maschera virile di malinconie e mezzi toni con cui affronta personaggi più ambigui e sofferti come il giornalista psicotico di Piombo rovente (1957) di A. Mackendrick, il giudice plagiato dal nazismo di Vincitori e vinti (1961) di S. Kramer o l'ergastolano redento di L'uomo di Alcatraz (1962) di J. Frankenheimer, che gli vale una Coppa Volpi alla Mostra di Venezia dopo l'Oscar ottenuto nel 1960 con il predicatore esaltato di Il figlio di Giuda di R. Brooks. Nel 1963 è L. Visconti a imprimergli i tratti asciutti e dolenti del principe di Salina nella celebre riduzione da Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa. Qui L., apparentemente ingessato negli impeccabili vestiti del nobile borbonico minacciato dal vento garibaldino, riesce a tenere il centro della scena senza maniera e senza farsi sopraffare dalla sfarzosità dell'allestimento, unendo, da precursore, professionalità hollywoodiana e sensibilità europea, stile fino ad allora sconosciuto nei divi d'oltreoceano, in attesa della generazione dei R. De Niro e A. Pacino. Invecchiando, gli basta sempre meno per dare spessore al personaggio. Rende crepuscolari l'eroe western e l'antieroe gangster, rispettivamente in Nessuna pietà per Ulzana (1972) di R. Aldrich e Atlantic City (1980) di L. Malle. Ancora Visconti lo dirige in Gruppo di famiglia in un interno (1974), mentre l'ultima apparizione è in L'uomo dei sogni (1989) di P.A. Robinson.