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Anno edizione: 2021
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«L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.»
È il 1947 quando Pavese pubblica una raccolta di ventisette dialoghi brevi, con protagonisti personaggi del mito: divinità, eroi, poeti. Nulla di più lontano, in apparenza, dai temi che dominano la produzione culturale in un'Italia che, da poco riemersa dalla devastazione della Seconda guerra mondiale, gronda di storie da raccontare, tutte ispirate a fatti veri e che il cinema neorealista non tarderà a fare proprie. In questo panorama Pavese sembra tirarsi da parte, cedere al «suo capriccio, la sua musa nascosta, che a un tratto lo inducono a farsi eremita» (come scrive egli stesso), lontano dalla materia incandescente dell'attualità. Ma proprio l'apparente astrazione e l'atemporalità del mito permettono a Pavese di affrontare a viso aperto, con un affondo più ardito e urgente, i grandi nodi che chiamano in causa non solo gli intellettuali del Secondo dopoguerra, ma ogni singolo essere umano. La dialettica tra vita e destino, tra uomo e natura, tra necessità ineluttabile e aspirazione impossibile: sono questi alcuni dei temi al cui cuore scavano le parole di Eros e Tànatos, Calipso e Odisseo, Edipo e Tiresia. Parole capaci di trascinare ogni lettore, di qualsiasi epoca, a tu per tu con la vertigine della condizione umana.
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Grande scrittore
Sottoforma di dialoghi, Pavese crea delle brevissime rivisitazioni dei miti classici. Sono tanti i personaggi che dialogano fra queste pagine, dei e dee, semidei, eroi, anche uomini e donne comuni e tutti si interrogano sul significato della vita mortale e sul senso della vita in generale, esaminando le sue mille e mille sfaccettature. In queste pagine si trova alla fine il senso stesso dei miti e della loro attualità che ancora oggi ci sorprende; i miti parlano di noi, come hanno sempre fatto, e sono stati in grado di farci capire che ci sono cose comuni a tutti, indipendentemente da chi siamo o crediamo di essere: l'amore, la morte, la ricerca della felicità, il ricordo, la gloria, la fragilità della vita, la mortalità. Pavese ha creato una splendida rilettura del mito dallo stile lirico e poetico; tocca temi profondi ma con una delicatezza tale da rendere ogni pagina una preziosa poesia che sarà difficile dimenticare. Le pagine di questo testo, tra incanto e ragione, sono intrise di dolore e angosciosa disperazione. Pavese lasciò sulla prima pagina di una copia di questo libro il suo messaggio di addio al mondo la sera del 27 agosto 1950, in una stanza di un albergo torinese: le pagine di questo testo, tra incanto e ragione, sono intrise di dolore e di angosciosa disperazione.
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