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Marco, fratellino di Marta, annovera le femmine al primo posto, l’impossibilità di starnutire a occhi aperti e “un sacco di altre cose” in continua scoperta. Per Margherita le “cose che nessuno sa” riguardano le fragilità e le contraddizioni dei “quattordicianni”, la gioia o il dolore che prevale nella composizione chimica delle lacrime, “quel rumore di fondo, se non il miscuglio di dolore e gioia che, nel labirinto di case, nel gomitolo di vie, dai sotterranei ai sottotetti, emana la vita tutta intera” e la riflessione su “come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente: l’altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno che qualcuno ci regali quella parte di noi stessi che ci manca?” È il primo libro che leggo di Alessandro D’Avenia e l’ho terminato con sentimenti contrastanti. Sdolcinato e troppo melenso in alcune parti, molto poetico e ricco di metafore in altre (dialoghi con la nonna o con il fratellino Andrea), troppo sbrigativo e frettoloso su altre (si poteva approfondire un po’ la storia di Giulio e Margherita). Il linguaggio pulito è un punto a suo favore. La tenerezza e la partecipazione emotiva che scaturisce da queste pagine mi hanno coinvolto e tenuto incollata alle pagine, anche se non più in età adolescenziale. Penso sia un libro che tutti potrebbero leggere a prescindere dall’età, in quanto ai giovani protagonisti lo scrittore affianca personaggi adulti còlti nel passaggio stretto di una crisi coniugale e amorosa.
Marco, fratellino di Marta, annovera le femmine al primo posto, l’impossibilità di starnutire a occhi aperti e “un sacco di altre cose” in continua scoperta. Per Margherita le “cose che nessuno sa” riguardano le fragilità e le contraddizioni dei “quattordicianni”, la gioia o il dolore che prevale nella composizione chimica delle lacrime, “quel rumore di fondo, se non il miscuglio di dolore e gioia che, nel labirinto di case, nel gomitolo di vie, dai sotterranei ai sottotetti, emana la vita tutta intera” e la riflessione su “come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente: l’altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno che qualcuno ci regali quella parte di noi stessi che ci manca?” È il primo libro che leggo di Alessandro D’Avenia e l’ho terminato con sentimenti contrastanti. Sdolcinato e troppo melenso in alcune parti, molto poetico e ricco di metafore in altre (dialoghi con la nonna o con il fratellino Andrea), troppo sbrigativo e frettoloso su altre (si poteva approfondire un po’ la storia di Giulio e Margherita). Il linguaggio pulito è un punto a suo favore. La tenerezza e la partecipazione emotiva che scaturisce da queste pagine mi hanno coinvolto e tenuto incollata alle pagine, anche se non più in età adolescenziale. Penso sia un libro che tutti potrebbero leggere a prescindere dall’età, in quanto ai giovani protagonisti lo scrittore affianca personaggi adulti còlti nel passaggio stretto di una crisi coniugale e amorosa.
E' il secondo libro che leggo di D'Avenia e continuo ad apprezzare il suo lessico e, soprattutto, lo stile della scrittura. Quello che digerisco a fatica sono le continue riflessioni e divagazioni sui sentimenti, che appesantiscono la lettura e, personalmente, mi annoiano un po'. Inoltre, ho trovato il finale un tantino sdolcinato. ...ti amo...lo disse così com'era, in un corridoio d'ospedale, gli occhi rossi di pianto, mille paure e altrettante speranze, perché, a differenza dei vestiti molto usati, solo la vita vissuta ha una qualche eleganza...
Recensioni
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