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Anno edizione: 2024
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Un romanzo di guerra, anzi, un romanzo sulla guerra, nelle sue molteplici incarnazioni: la guerra propriamente detta, quella in Afghanistan; la guerra più sfuggente ma altrettanto dolorosa dei rapporti intimi, affettivi e famigliari; e la guerra, invisibile e pericolosissima, della rabbia contro se stessi. Un romanzo che ci ricorda cosa significa essere umani.
«Tutto quello che finiremo col leggere ci coinvolge e ci riguarda» - Antonio Gnoli, la Repubblica
«Il corpo umano si legge come un romanzo d'avventura che però continuamente ci ricorda che il tempo dell'epica e degli eroi è irrimediabilmente finito» - Elisabetta Rasy, Il Sole 24 Ore
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Molto bello il racconto e mi è piaciuto molto anche lo stile della scrittura di Giordano. Un libro che parla di amicizia, di amore e dolore, attraverso il racconto di immagini ed esperienze forti e toccanti. Un libro che non solo consiglio, ma che rileggerei volentieri.
Ho finito in due giorni il secondo libro di Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega e del Premio Campiello Opera Prima con “La solitudine dei numeri primi”. La sua seconda fatica si chiama “Il corpo umano”, romanzo che, come dicevo poc’anzi, si legge tutto d’un fiato, esattamente come il precedente. Ed esattamente come il precedente ho trovato uno stile corretto, una conoscenza della lingua italiana che in moltissimi ormai ignorano. Quel che invece mi ha un po’ delusa è stato il mancato stavolta (a mio avviso) approfondimento delle psicologie dei personaggi e dei fatti della loro vita antecedenti alla drammaticità dell’Afganistan. Perché appunto, questo libro parla di guerra, di come la vita sia appesa ad un filo, e di come il corpo risponda all’oscillazione di tal filo nelle mani di terzi: contorcendosi, adeguandosi, strappandosi. Mentre progredivo nella lettura, sempre più mi veniva in mente una cosa: più che un romanzo è un’ottima sceneggiatura. Sullo schermo sarebbe una grande storia, e soprattutto il regista avrebbe la possibilità di approfondire quel che più gli preme ai fini delle sequenze e delle inquadrature. Ad ogni modo: che si tratti di una sceneggiatura piena, o di un romanzo dalla voce ancora non pienamente corposa per gridare tutto quel che vorrebbe, resta un bel libro, soprattutto considerato il coraggio che dev’esserci voluto per scriverlo dopo che col primo hai fatto piazza pulita sia con la critica che con le vendite. Sono quindi in attesa del terzo. Credo davvero che Paolo Giordano sia un’ottima penna nel panorama italiano, uno dei pochi a saper scrivere e dotato di una sensibilità che non s’incarta di fronte alle logiche della narrazione. E presumo che il suo intento non fosse quello di parlare di guerra, a dispetto di ciò che la copertina del libro fa intendere. La guerra è solo il pretesto per raccontare di come ogni essere vivente sia al centro di un deserto pronto ad esplodere sotto i piedi, del come debba in virtù di ciò reinventarsi ogni giorno, di come ognuno di noi sia legato a dei fili invisibili. Siamo marionette guidate da logiche più grandi di noi, e il nostro corpo risponde a queste manipolazioni, raccontando le verità che ci portiamo dentro. Pertanto si modifica; e talvolta, si estingue prima del dovuto. “Ma il vecchio dolore non si nasconde dietro quello nuovo. Quello nuovo sale sulle spalle del vecchio e da lì guarda più lontano.”
inconcludente come tutti i suoi romanzi (due finora), stavolta però ha ha ben descritto la vita dei soldati, l'esaltazione, gli scherzi da caserma, le alienazioni, i soprusi, la paura di morire, le spiate a tradimento, l'abuso di pasticche e di droghe. Apre uno spiraglio su come si vive da soldati in territorio nemico, percepiti come ostili da un lato e vogliosi di andar via al più presto possibile dall'altro . E' un romanzo migliore rispetto a “la solitudine dei numeri primi”.
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