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Il giovane imprenditore milanese Adriano Doria nel corso di una serata dovrà creare la propria linea di difesa assieme a Virginia Ferrara, penalista nota per non aver mai perso una causa. Doria è accusato dell’omicidio di Laura Vitale, la sua amante, trovata morta in una camera d’albergo nel quale Adriano era al suo fianco svenuto. Pensare lateralmente per riuscire a trovare risposte a qualunque enigma. È questa la chiave di lettura di una pellicola passata colpevolmente in sordina nel corso dello scorso inverno e che una volta riscoperta ci restituisce una trama attenta, ben bilanciata, con protagonisti che non sbagliano battute e tempi di recitazione, fra i quali spiccano Riccardo Scamarcio, nuovamente diretto da Mordini dopo Pericle il Nero, e anche un eccellente Fabrizio Bentivoglio. Una pellicola nel corso della quale ogni inquadratura è unita una lentezza non certo macchinosa ma necessaria ad impreziosire una trama che si muove e si riannoda in un eterno flash-back. Le confessioni di Adriano Doria sono difatti sentenze che velocemente si sposano al paesaggio livido e invernale nel quale si dipana la sceneggiatura scritta e diretta da Stefano Mordini che rimette mano al film spagnolo del 2016: Contrattempo, diretto da Oriol Paulo, e distribuito in Italia solamente grazie a Netflix, riscrivendone la trama a quattro mani assieme ad Alessandro Catoni e donandogli una veste italiana ma con un taglio altrettanto internazionale degno di una pellicola di Kurosawa. Facile vedere nelle versioni progressivamente contrastanti di Adriano Scamarcio Doria le pieghe di Rashomon, o al tempo stesso di Schegge di Paura, pellicola giocata perennemente sul duplice piano di colpevolezza e innocenza. Film che colpisce come un diretto al centro dello stomaco, che appassiona sino all’ultima inquadratura, e per il quale si può trovare un difetto solamente perché perfettamente ricalcato sull’originale.
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