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Questo racconto della Birmania non è un semplice libro di memorie dell'avventurosa giovinezza dell'autore. In realtà è un'atto d'amore verso la propria terra e insieme una testimonianza militante; l'ultima arma rimasta a chi è stato schiacciato dalla violenza e dai soprusi. La storia purtroppo si ripete ed ecco ciò che è accaduto ai manifestanti civili e ai monaci nel 1988 è accaduto di nuovo nel 2008, nonostante il solito inutile sbigottimento del mondo avanzato. Dal punto di vista letterario la forma del libro è spiazzante. La sintassi e il filo logico della narrazione sono quasi sconnessi per tutta l'infanzia, evolvendo man mano che l'io narrante cresce e seguono in ogni caso lo stato d'animo dello scrittore. Ne consiglio assolutamente la lettura a tutti gli amanti del mondo asiatico e a tutti coloro che cercano il cuore oltre le parole.
Il ragazzo che parlava col vento è la storia dell’autore, Pascal Khoo Thwe. Una storia emozionante, raccontata in prima persona, di un ragazzo nato a Phekhon in una piccola tribù dei Kayan Padaung convertita al cattolicesimo da un certo padre Carlo, smarritosi in Birmania durante il suo viaggio verso la Cina. Phekhon è un villaggio tra lo Stato di Shan e quello di Karenni, nel sudest della Birmania. Pascal, battezzato Pasquale dal parroco italiano è il figlio maggiore di una famiglia importante il cui nonno era stato uno Hane della tribù, ovvero un capo, preposto a controllare la zona di Phekhon, una superficie con una popolazione di 30mila persone. Questo fino a quando i capi tradizionali non furono rimossi dal regime di Ne Win, generale birmano che governò il Paese con una dittatura per 26 anni. Pascal cresce all’interno della sua tribù tra radicate e rispettate tradizioni antiche e nuove contaminazioni cattoliche. Gioca nella giungla, impara a riconoscere i suoni degli animali e la voce del monsone, apprende l’arte della caccia e della pesca, asssite alle veglie funebri e alle celebrazioni, individua il valore e l’importanza del rispetto per gli antenati e impara a convivere con gli spiriti. Pascal cresce tra culti tribali e il rintocco delle campane della chiesa, le nonne gli appaiono come esseri quasi mitici con i loro lunghi colli adornati dai tanti anelli. Dopo una breve esperienza per diventare prete, Pascal lascia la via del cattolicesimo per avviarsi nel dicembre del 1984 in quella dello studio presso l’Università di Mandalay dove, tra amore e amici comincia a maturare il dissenso verso il regime dietro la cui propaganda fatta di proclami e slogan si nasconde una realtà di paura e violenza che calpesta i più elementari diritti umani. Cresce nello studente e nell’uomo il sentimento di ribellione e Pascal si unisce ai dissidenti nelle proteste degli studenti e dei monaci, manifestazioni pacifiche soffocate dal sangue da un regime sempre più autoritario. Dopo l’annuncio del nome di Sein Lwin, soprannominato dai dissidenti il macellaio di Rangoon, quale successore di Ne Win come presidente della Birmania, la strada di Pascal è ormai quella del dissenso, la strada del ribelle. Insieme con altri studenti attraversa la giungla per unirsi ai ribelli Karenni dove passa un anno tra guerriglia, malaria e morte. Intanto il Paese è nel terrore: Sein Lwin ha abdicato e con un colpo di stato lo SLORC ha preso il potere. La Birmania si chiude nella paura e nella violenza. È con l’aiuto dell’inglese John Casey, professore del Caius College di Cambridge, conosciuto mentre lavorava come cameriere in un ristorante cinese di Mandalay, che Pascal arriverà in Inghilterra per laurearsi e denunciare al mondo gli orrori della giunta militare birmana. Il ragazzo che parlava col vento è un libro molto bello, un documento prezioso e attuale per capire meglio la situazione della Birmania. È un libro denso di una bellezza fatta di nostaglia e amore per il proprio paese, per la propria tribù, per le proprie origini. Il libro, dal titolo originale (secondo me molto più bello del melioso titolo in italiano) From the Land of Green Ghosts: A Burmese Odyssey, ha vinto nel 2002 la categoria non-fiction del Kiriyama Prize, premio internazionale istituito nel 1986. http://rascarlo.wordpress.com/
Il ragazzo che parlava col vento è la storia dell’autore, Pascal Khoo Thwe. Una storia emozionante, raccontata in prima persona, di un ragazzo nato a Phekhon in una piccola tribù dei Kayan Padaung convertita al cattolicesimo da un certo padre Carlo, smarritosi in Birmania durante il suo viaggio verso la Cina. Phekhon è un villaggio tra lo Stato di Shan e quello di Karenni, nel sudest della Birmania. Pascal, battezzato Pasquale dal parroco italiano è il figlio maggiore di una famiglia importante il cui nonno era stato uno Hane della tribù, ovvero un capo, preposto a controllare la zona di Phekhon, una superficie con una popolazione di 30mila persone. Questo fino a quando i capi tradizionali non furono rimossi dal regime di Ne Win, generale birmano che governò il Paese con una dittatura per 26 anni. Pascal cresce all’interno della sua tribù tra radicate e rispettate tradizioni antiche e nuove contaminazioni cattoliche. Gioca nella giungla, impara a riconoscere i suoni degli animali e la voce del monsone, apprende l’arte della caccia e della pesca, asssite alle veglie funebri e alle celebrazioni, individua il valore e l’importanza del rispetto per gli antenati e impara a convivere con gli spiriti. Pascal cresce tra culti tribali e il rintocco delle campane della chiesa, le nonne gli appaiono come esseri quasi mitici con i loro lunghi colli adornati dai tanti anelli. Dopo una breve esperienza per diventare prete, Pascal lascia la via del cattolicesimo per avviarsi nel dicembre del 1984 in quella dello studio presso l’Università di Mandalay dove, tra amore e amici comincia a maturare il dissenso verso il regime dietro la cui propaganda fatta di proclami e slogan si nasconde una realtà di paura e violenza che calpesta i più elementari diritti umani. Cresce nello studente e nell’uomo il sentimento di ribellione e Pascal si unisce ai dissidenti nelle proteste degli studenti e dei monaci, manifestazioni pacifiche soffocate dal sangue da un regime sempre più autoritario. Dopo l’annuncio del nome di Sein Lwin, soprannominato dai dissidenti il macellaio di Rangoon, quale successore di Ne Win come presidente della Birmania, la strada di Pascal è ormai quella del dissenso, la strada del ribelle. Insieme con altri studenti attraversa la giungla per unirsi ai ribelli Karenni dove passa un anno tra guerriglia, malaria e morte. Intanto il Paese è nel terrore: Sein Lwin ha abdicato e con un colpo di stato lo SLORC ha preso il potere. La Birmania si chiude nella paura e nella violenza. È con l’aiuto dell’inglese John Casey, professore del Caius College di Cambridge, conosciuto mentre lavorava come cameriere in un ristorante cinese di Mandalay, che Pascal arriverà in Inghilterra per laurearsi e denunciare al mondo gli orrori della giunta militare birmana. Il ragazzo che parlava col vento è un libro molto bello, un documento prezioso e attuale per capire meglio la situazione della Birmania. È un libro denso di una bellezza fatta di nostaglia e amore per il proprio paese, per la propria tribù, per le proprie origini. Il libro, dal titolo originale (secondo me molto più bello del melioso titolo in italiano) From the Land of Green Ghosts: A Burmese Odyssey, ha vinto nel 2002 la categoria non-fiction del Kiriyama Prize, premio internazionale istituito nel 1986. http://rascarlo.wordpress.com/
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