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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2012
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Il giardino dei Finzi-Contini è una complessa ma veramente ben organizzata metafora poetica spiegabile con un’altra: un’opera musicale. L’autore, eccezionale io-narrante, è il compositore, lucido e razionale, che concepisce uno spartito il cui ritmo è scandito dall’equilibrato alternarsi di note descrittive, soprattutto dell’amata Ferrara, che si estende in un immenso reticolo di vie, piazze e mura rinascimentali interrotte da prati, parchi e dal placido Eridano. In questo paesaggio, in cui la storia crudele e l’umanità rapace ingeriscono violentemente rendendo il fondale scenografico pallido, apatico e plumbeo, si muovono i personaggi, testimoni immobili della vicenda che intonano sinfonie, gorgheggi che escono lievi ed impercettibili dalle loro labbra tanto da risultare il sottofondo alle preponderanti ed energiche voci dei protagonisti, gli unici che tentano di svincolarsi dalla sclerosi sociale, dal perbenismo, dalla vuota opulenza ed uscire da quel pentagramma così stretto e costrittivo. Solo uno dei solisti però riuscirà a rompere quelle catene e a vivere nel mondo, un mondo in cui l’endemico conflitto tra bene e male necessita di una presa di posizione, di uno schieramento per l’uno o l’altro fronte, cosa che per la nobile stirpe dei Finzi-Contini e per Micol in primis, sarà impossibile, poiché vorrebbe dire rinunciare a tutti i loro privilegi, andare contro la loro indole naturale, adeguarsi a vivere nell’universo comune, loro, isolati, rinchiusi in quel microcosmo esclusivo forse, ma escluso, scisso dalla realtà. Questo è il giardino, svuotato da ogni ornamento e da ogni impalcatura retorica, il giardino delle delizie, l’Eden in cui è stato commesso l’immane peccato dell’abulia, dell’indolenza, della passività aristocratica, di un otium che perde tutto il suo valore e diventa mera indifferenza. L’ultimo elemento deficiente è il direttore, lo stesso compositore, che orchestra la rappresentazione inserendovi momenti di riflessione silenziosa ed intima; in cui i parossistici sentimenti sono proposti in maniera distaccata, a tal punto da apparire un semplice spettatore, ma che in realtà evidenzia il superamento e la volontà di separazione da quella adolescenza illusoria e puerile, irrazionale ed aberrante. Proprio alla luce di queste conclusioni, Bassani racconta la sua giovinezza, che gli viene rievocata dalla necropoli etrusca così simile a quella “città dei morti”, di inetti, che era la “magna domus”, benché la vera intermediaria sia la tomba, il monumentale cenotafio della ricca famiglia che l’autore ricorda, consunta, lacera, decadente come gli ideali dell’aristocrazia ottocentesca, sopraffatta da quella natura che avevano cercato di razionalizzare nel giardino, morta come i suoi destinatari dimenticata ed obliata da tutti, poiché anche solo il ricordo di quei tempi di furia omicida, rievoca ai superstiti dolore e malvagità, , travolta, muta, fredda. Quell’enorme costruzione che doveva ricordare al mondo il prestigio e il potere della gens che l’aveva fatta erigere, solitaria ed imponente, ora rappresenta la loro sconfitta, il loro fallimento e serve a monito per le generazioni future affinché imparino dal passato a non rifuggire la verità, ma ad affrontarla con tutti se stessi, nonché a non dimenticare; sebbene la morte tenda a cancellare tutto quello che una persona era stata, ciò che aveva fatto, ciò che aveva vissuto, il ricordo sia il mezzo per eternarla, e soprattutto per non ricommettere gli stessi errori. In questo sfondo negativo e permeato da tristizia, la forza dell’eroe-protagonista sta proprio nel non lasciarsi sopraffare dall’odio, ma nel reagire, infatti verso la fine riesce a valicare quel muro che delimitava il giardino ed acquisisce la conoscenza, capisce tutto, ed, al tempo stesso, nell’amare, nonostante spesso sia respinto e con il suo amore, sia sempre più allontanato lo strumento, la possibilità di salvarsi; allora alla fine ecco farsi chiaro un processo formativo grandioso, di cui adesso, e solo adesso l’autore è consapevole, senza ipocrisie, senza falsa modestia. Dunque il nazifascismo, che intacca a varie riprese l’iter della narrazione, non starebbe ad indicare semplicemente il fenomeno storico, ma parrebbe l’alter ego, l’antonomasia del male nella storia e di come il menefreghismo sia una forma di male ancor più turpe perché erode tutto l’impegno e la fatica dei “buoni”. Del resto anche nella struttura del libro si nota come la storia, un “entrelacement” di avventure d’amore, fervore poetico, crescita morale e scrittura d’intrattenimento, alla fine venga eclissata da quelle poche pagine che sono il prologo e la conclusione, attraverso cui il lettore veramente scopre la verità, combusta insieme alle migliaia di cadaveri, ai milioni di individui, che ora, cenere, dà nuova vita alla terra brulla, come ad indicare che se si crede e si spera in qualcosa, si combatte per esso, questo non morirà mai e risorgerà nella memoria delle persone, nello stesso modo in cui è riaffiorato nella mente di Bassani. Difatti egli, teste, sopravvissuto, al termine del libro lascia aperto il finale alla riflessione ed alla infinità, lascia che come quella cenere sul suolo, rifiorisca la speranza di un futuro migliore, di un giardino stupendo e rigoglioso in cui tutti lottano e vincono.
"Il giardino dei Finzi-Contini" rientra nel filone dei romanzi della memoria. L'autore racconta vicende e personaggi della sua vita, collocandoli sullo sfondo dei grandi eventi storici del periodo della seconda guerra mondiale. Il romanzo è interamente ambientato nella cittadina di Ferrara, con le sue strade larghe e silenziose, con la sottile malinconia di un'esistenza sospesa, con la dolce monotonia di una piccola provincia. Ed è proprio in quest'atmosfera che viveva il protagonista della storia, almeno fino a quando non arrivò la guerra a distruggere la calma, a calpestare quel fragile mondo di carta, sbattendogli in faccia le certezze di un tragico domani. Nonostante il tema portante del romanzo sia la guerra, al suo interno c'è anche una storia d'amore. Un amore passionale, ardente, vero, coltivato durante le lunghe passeggiate in giradino, le gite in bicicletta, con le sue piccole e grandi gelosie. Amore che fu anch'esso trasformato e trasfigurato dalla guerra. La sempre presente guerra, che giaceva dietro le quinte attendendo il momento di farsi avanti per recitare la sua scena maestra. Un conflitto che per i protagonisti del libro significò sempre e solo una serie di dibattiti e discussioni, che non andava oltre l'ascoltare le notizie alla radio, ma che tutt'ad un tratto si mostrò in tutta la sua brutalità.
La sua fama non delude, un classico da leggere e rileggere. Bellissimo!
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