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Tozzi non regge il confronto con i due grandi padri degli inetti, Svevo e Pirandello, che nello stesso periodo rendevano ben altra giustizia alla suddetta figura. Il romanzo è un crudo alternarsi di veloci quadri che non permettono di immedesimarsi bene nei personaggi, nè tanto meno nel protagonista, verso il quale l'unica cosa che ci permette di provare è pena. Tozzi ci presenta un mondo asettico, in cui nessuno riesce ad uscire dalla propria situazione di sofferenza, e in cui anche l'amore si rivela essere una mera illusione, ben lontana dalla perversa realtà.
La storia di Piero Rosi, figlio del violento oste Domenico e innamorato di Ghisola, si muove lungo i solchi dell’ impressionismo del primo sec. XX. La storia riesce a trattenere il lettore fino all’ultima pagina, e i ritmi sono magistralmente scanditi dalle scelte stilistiche dell’autore. È un libro che merita sia di essere letto sia di essere studiato, nonostante sia, al momento, di molto sottovalutato.
A metà tra verismo e neorealismo, l'opera di Tozzi potrebbe, ad oggi, essere difficile da apprezzare. Si tratta di un libro crudo, schietto, poco ornato. Portagonista è Piero, un ragazzo dal carattere difficile e in perenne lite con i genitori, soprattutto con il padre Domenico, proprietario di un podere nei pressi di Siena. In questa situazione si inserisce la sua contraddittoria e tormentata storia d'amore con Ghisola, giovane contadina del podere. Un bel (anche se triste) quadro della Toscana di inizio XX secolo. Da notare alcune forme linguistiche tipiche del senese (doventare, escire) che punteggiano le pagine di Tozzi. Ostico, ma ne vale la pena.
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