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Un libro di cui si sentiva il bisogno. Sul sindacato, ma anche su cosa significa oggi rappresentare gli altri. In un momento storico in cui va di moda accentuare le differenze, gli scontri e le divisioni, Bentivogli descrive quanto invece sia utile stare insieme, fare rete, condividere esperienze e valori, in un progetto comune, in cui si ritorni ad essere persone, e non solo individui soli, assieme agli altri. Un libro per sindacalisti, ma anche per tutti quei cittadini attivi, impegnati a costruire un presente e un futuro positivo e di speranza.
Il messaggio forte del libro, che questa nuova edizione rende ancora più dirompente, è che l’evoluzione produttiva ed economica necessita assolutamente di un sindacato che studia. Solo lo studio di una realtà che cambia sempre più velocemente può permettere di gestire e non subire fenomeni complessi come Industria 4.0 e la globalizzazione. L’ideologia, a cui Bentivogli pure riconosce un valore positivo in quanto insieme di valori e idee fondativi di un’identità collettiva, non può essere la lente con cui analizzare i fenomeni sociali. Solo studiando nel merito i problemi e analizzandoli nelle loro interconnessioni è possibile offrire una risposta alla gente che si rappresenta. E la formazione è l’unica arma che i lavoratori hanno per poter essere protagonisti di questa nuova fase. Per vincere la sfida di Industria 4.0 ci vuole un’educazione 4.0. Il diritto soggettivo alla formazione è il cardine del contratto collettivo del settore metalmeccanico rinnovato il 26 novembre 2016. “Il contratto più difficile della nostra storia” - sottolinea Bentivogli - per la rigidità con cui Federmeccanica ha portato avanti la trattativa per un anno, ma anche perché il sindacato si presentava all’inizio ancora diviso, dopo le lacerazioni del passato recente (basti pensare alla vicenda Fiat-Fca che Bentivogli ripercorre in appendice). Alla fine la lungimiranza della Fim ha avuto la meglio sulla controparte imprenditoriale, molto restia inizialmente a fare concessioni sul capitolo della formazione, e ha convinto anche la Fiom, che nei precedenti due rinnovi aveva negato la propria firma, chiusa nel suo scetticismo nei confronti di innovazioni come il welfare aziendale, la flessibilità e lo scambio tra produttività e salario. Più in generale l'autore sottolinea che - oggi più che mai - il sindacato è fondamentale non solo per firmare buoni contratti. Il cambiamento e la crisi hanno creato una grande incertezza e spesso una vera e propria paura del futuro. Su questi sentimenti hanno fatto leva i populismi in Italia, in Europa e oltreoceano, che hanno avuto gioco facile a far presa su molti cittadini in un tessuto sociale in cui la presenza dei corpi intermedi si è indebolita. Questa è una delle parti più emozionanti del libro. “Spezzate le catene dell’ideologia, recisi non del tutto i legami psicologici e culturali che danno ad una comunità la consapevolezza di ritrovarsi in un comune destino, i lavoratori si sono scoperti (forse) più liberi, ma soprattutto più soli. (…) Ora, io credo che questo tessuto strappato vada in qualche modo ricucito. E credo che questo sia uno dei compiti più difficili, ma anche più entusiasmanti che un sindacato come la Fim si trova davanti (p. 121). Per questo non si può fare a meno del sindacato, se è un sindacato dinamico, che anticipa il cambiamento e ricostruisce legami sociali.
Credo che il merito maggiore del libro sia un’esortazione a leggere i fenomeni economici sforzandosi di liberarsi dei pregiudizi e delle narrazioni di comodo che tranquillizzano la coscienza di tanti borghesi progressisti. Il cambiamento del paradigma tecnologico, organizzativo e dei rapporti di produzione ha imposto un ripensamento del ruolo del sindacato e delle modalità del suo intervento a difesa dei lavoratori. L’autore dimostra, con i dati di fatto, come alcuni sindacati si siano sforzati in quest’operazione critica, mentre altri si siano adagiati su vecchie certezze. I fatti (ad esempio la vicenda Fiat Chrysler), malgrado lo sguardo e il racconto spesso superficiali degli stessi media, stanno lì a dimostrare che solo se il sindacato, a qualsiasi livello, si mette continuamente in discussione, può svolgere al meglio la sua nobile missione nel ventunesimo secolo. Da qui lo sgretolamento di alcune “certezze”: non sempre “uniti si vince” (l’unità sindacale a volte, come nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1996, ha generato esiti insoddisfacenti), non sempre il progresso tecnico ha significato distruzione di posti di lavoro (nell’industria ha recentemente favorito il back reshoring degli stabilimenti esternalizzati). Un ampliamento delle dinamiche professionali e delle retribuzioni collegate è desiderabile nell’ambito di nuovi modelli organizzativi (come la World Class Manifaturing) in cui le gerarchie si riducono e che prevedono maggior coinvolgimento responsabilizzazione del lavoratore. E le richieste del sindacato in sede di rinnovo del contratto potrebbe orientarsi anche a favorire l’evoluzione dell’azienda verso una maggiore competitività (…): “Non possiamo ignorare i problemi, come se riguardassero esclusivamente qualcun altro e sollevarli solo quando la crisi è irreparabile”. Il messaggio, se si vuole, si può estendere anche a tutti coloro che, magari illudendosi di avere un minimo di consapevolezza e sensibilità sociale, cercano di agire coerentemente con i propri principi: i fatti vanno studiati e analizzati nella loro complessità e le categorie critiche vanno aggiornate a una realtà in continua evoluzione. Solo con questi prerequisiti si può tentare di essere cittadini consapevoli. Lo stile incisivo, a volte dirompente, rivela la passione dell’autore. Riportiamo un passo esemplare: “Il sindacalista reazionario, in preda a una deriva gastro-mediatica, si sente investito di una missione: fingendo di confondere il consenso con la schiuma gastrica della folla, fa fronte comune con chi ha coltivato la paura di tutto, del migrante, dei poveri, del cambiamento del futuro. Il sindacalista reazionario è quello mediaticamente più cool.”
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