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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2014
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Conoscevo Tuzzi (alias Adriano Bon) per i suoi libri sulla bibliofilia ed ovviamente non si può non rimaner affascinati dal suo eloquio, dalla sua compostezza e classicità stilistica e dalla sua competenza. Il passaggio ai suoi romanzi, mi ha richiesto del tempo ed infatti questo è il primo che affronto, stimolato dall'idea della cornice storica di riferimento della prima guerra mondiale che ha intrigato la mia curiosità. Il libro scorre sufficientemente bene, buono l'intreccio, se devo fare degli appunti trovo una lieve ridondanza di alcuni termini ed un lieve abuso di esterofilismi, i personaggi si rincorrono nei dialoghi e nella trama in maniera un pò caotica, lasciando una sensazione al lettore di lieve artificiosità che un pochino disturba. Ovviamente è solo la mia umile opinione e rimane tutta la mia ammirazione per Adriano Bon, questo mi stimolerà ancor più ad affrontare anche gli altri suoi romanzi!
È il mese di giugno del 1914 e tutta l’Europa è in ebollizione; anche se la vita sembra scorrere tranquilla nei fasti della Belle Epoque soffiano venti di guerra sempre più forti. Dal mare di Trieste viene ripescato il corpo esanime di Celik Yilmaz, un mercante levantino che è anche l’informatore di un giovante agente segreto imperialregio. Si potrebbe pensare a una disgrazia, ma un segno inequivocabile sul capo della vittima è la prova che si tratta di un omicidio. Perché uccidere un pesce così piccolo? Che cosa aveva di così importante da riferire e che si è voluto che non arrivasse alle orecchie dei servizi segreti austriaci? Sono queste le domande che si pone Neron Vukcic, montenegrino, giovane, ma molto intraprendente, dotato di un finissimo intuito, insomma in breve uno dei migliori agenti di cui disponga l’Austria. Inizia così una spy story che pagina dopo pagina si tinge sempre più di giallo, in un gioco di spie che vede coinvolti anche altri stati, in una corsa tesa a evitare, o a realizzare a seconda di una delle parti contrapposte, l’evento scatenante di quella che sarà chiamata la Grande Guerra. È forse superfluo che dica che Neron riuscirà a giungere alla soluzione, ma senza che il suo paese ne tragga vantaggio, perché la ragion di stato dei politici a volte è di una sottigliezza che cela perfidi interessi. Questo è il primo libro di Hans Tuzzi, che leggo e posso dire che è stata una gradevole sorpresa. Quest’autore, che nonostante il nome è italianissimo (si tratta in effetti di Adriano Bon, nato a Milano nel 1952 e docente universitario) è quel che si suol dire una buona penna. La sua è una scrittura fluida, scorrevole, uno stile fresco che, comunque, riesce a mettere in risalto capacità di ricreare atmosfere veramente encomiabile e poi si ha sempre l’impressione che per questo narratore lo scrivere un libro sia un gioco appassionante, volto sì a coinvolgere il lettore, ma a rendere anche gioioso partecipe lui stesso. E se qualche sospetto ho avuto in ordine al personaggio dell’agente imperialregio (giovane, ma di buona stazza, misogino, appassionato di orchidee) puntualmente alla fine ha trovato conferma, perché l’abile spia, messa in disparte con il pretesto di seguire un’indagine di nessuna rilevanza, matura l’idea di emigrare, di andare in America, dove già in prospettiva si vede sempre chiuso in casa, a coltivare orchidee, a santificare i pasti, a inglesizzare il suo nome, che tradotto sarebbe Nero Woolf. Posso quindi confermare che Il Trio dell’arcidica è un prodotto di ottima fattura che si legge con vero piacere, tanto che mi sono ripromesso di mettere in agenda altri libri di questo autore.
Ha ventun anni, è montenegrino, conosce otto lingue. Si chiama Neron Vukcik e, nonostante la giovane età, è già una spia al servizio dell’Impero austro-ungarico. E’ il 1914. In un’Europa sull’orlo del baratro Vukcik va a Trieste per incontrare un suo informatore, ma ne vedrà soltanto il cadavere ripescato dalle acque del porto triestino. Era ubriaco ed è scivolato in acqua battendo la testa, dicono, ma Vukcik è convinto invece che l’uomo sia stato ucciso perché era in possesso di informazioni preziose. Malgrado la scarsa simpatia e le resistenze di alcuni suoi superiori, Vukcik riesce a farsi affidare l’indagine. Viaggiando da una città all’altra, lungo un palcoscenico europeo dove si muovono protagonisti e servi di scena, l’agente segreto imperialregio insegue il segreto di un omicidio che ha lasciato alle sue spalle pochi indizi, tra i quali una pianta di aconito e un’icona di San Spiridione. Lasciato a riposo provvisorio il commissario Melis, Hans Tuzzi offre un’altra ottima prova della sua versatilità, un romanzo spedito eppure carico di richiami e voci sotterranee che riecheggiano i fasti, le miserie e la fisionomia di un’epoca. L’etichetta di poliziesco ci sembra stretta. E’ vero che il romanzo, concentrato nella ricerca della verità, ha la trama stringente che un buon poliziesco dovrebbe avere, ma non diremmo che in cima ai propositi dell’autore ci siano l’ossequio alla connessione logica fra indizi sparsi o l’epilogo a sorpresa. Una volta tanto, lasciamo da parte la tassonomia letteraria ed entriamo invece in questo racconto affascinante dove la cultura dell’autore è fusa perfettamente nella trama con il gesto del gran signore che non ha bisogno di esibire nulla.
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