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Anno edizione: 2016
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Diceva Sciascia che "se tutto è mafia, nulla è mafia"... e proprio in virtù di questo ogni siciliano consapevole della difficoltà di essere siciliano, e voglioso di combattere giornalmente, nel suo piccolo, il fenomeno mafioso, io credo abbia il diritto e il dovere di conoscere la storia della propria terra, purtroppo spesso macchiata da quel fenomeno per cui siamo celebri nel mondo (ahimè!). "Storia della Mafia" è lucido resoconto storico che rende consapevoli noi siciliani di un aspetto non degno di lode, ma reale, della nostra storia; ed è resoconto che, accompagnato da una lettura critica e attenta, rende noi siciliani onesti orgogliosi della nostra terra e desiderosi di lottare quotidianamente per estirpare il cancro della Mafia. Consiglio vivamente la lettura.
Il libro presenta un difetto fondamentale, strutturale: manca di narrazione, leggendolo non si ha l'impressione di leggere un libro di storia, dà al lettore il compito, troppo arduo per chi non conosce a fondo la materia, di capire facendo a meno della narrazione dei fatti. Da qui il rischio, molto concreto, di non fargli capire la mafia. La periodizzazione abbraccia il periodo dall'unità d'Italia fino alle stragi del '92-'93, ma è sbilanciata: sì dà molto più spazio a quanto succede prima della Seconda Guerra che dopo. Alcune interpretazioni sono condivisibili e ben documentate (sopratutto quella secondo la quale la mafia non è inizialmente un fenomeno esclusivamente collegato al latifondo, ma presente saldamente anche in città), altre molto meno. Per esempio, far coincidere le origini - secondo il principio dell'esse est percipi - con la comparsa del termine non convince: un fenomeno può esistere anche prima, e anche molto prima, di essere 'battezzato' e la storia stessa della mafia lo dimostra, basti pensare a quanti nomi questa ha cambiato o sovrapposto nel corso del tempo (onorata società, camorra, fratellanza, Cosa Nostra, setta, ecc.); soprattutto, lascia perplessi, per i momenti chiave delle stragi di Portella della Ginestra e di quelle del '92 – '93, l'escludere così nettamente la presenza di mandanti a volto coperto – e quindi il legame della mafia con circuiti di potere superiori – giustificandola con il fatto che questi non sono mai stati trovati: non convince infatti l'implicazione 'non sono stati trovati' ergo 'non ci sono stati e quindi si deve privilegiare la spiegazione più semplice, cioè escluderne l'esistenza' nonostante un evidenzia circostanziale in senso contrario piuttosto forte che ha portato altri storici a conclusioni opposte (Cfr. Tranfaglia, Marino). In generale, l'intera ricostruzione privilegia in maniera troppo netta le dinamiche interne all'organizzazione, perdendo di vista il servizio che la mafia offre alla politica, più credibilmente la prima ragione di quella che lo stesso Lupo definisce la "straordinaria continuità storica della mafia".
Il libro presenta un difetto fondamentale, strutturale: manca di narrazione, leggendolo non si ha l'impressione di leggere un libro di storia, dà al lettore il compito, troppo arduo per chi non conosce a fondo la materia, di capire facendo a meno della narrazione dei fatti. Da qui il rischio, molto concreto, di non fargli capire la mafia. La periodizzazione abbraccia il periodo dall'unità d'Italia fino alle stragi del '92-'93, ma è sbilanciata: sì dà molto più spazio a quanto succede prima della Seconda Guerra che dopo. Alcune interpretazioni sono condivisibili e ben documentate (sopratutto quella secondo la quale la mafia non è inizialmente un fenomeno esclusivamente collegato al latifondo, ma presente saldamente anche in città), altre molto meno. Per esempio, far coincidere le origini - secondo il principio dell'esse est percipi - con la comparsa del termine non convince: un fenomeno può esistere anche prima, e anche molto prima, di essere 'battezzato' e la storia stessa della mafia lo dimostra, basti pensare a quanti nomi questa ha cambiato o sovrapposto nel corso del tempo (onorata società, camorra, fratellanza, Cosa Nostra, setta, ecc.); soprattutto, lascia perplessi, per i momenti chiave delle stragi di Portella della Ginestra e di quelle del '92 – '93, l'escludere così nettamente la presenza di mandanti a volto coperto – e quindi il legame della mafia con circuiti di potere superiori – giustificandola con il fatto che questi non sono mai stati trovati: non convince infatti l'implicazione 'non sono stati trovati' ergo 'non ci sono stati e quindi si deve privilegiare la spiegazione più semplice, cioè escluderne l'esistenza' nonostante un evidenzia circostanziale in senso contrario piuttosto forte che ha portato altri storici a conclusioni opposte (Cfr. Tranfaglia, Marino). In generale, l'intera ricostruzione privilegia in maniera troppo netta le dinamiche interne all'organizzazione, perdendo di vista il servizio che la mafia offre alla politica, più credibilmente la prima ragione di quella che lo stesso Lupo definisce la "straordinaria continuità storica della mafia".
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