Caleidoscopica, poetica, allucinogena. Abbacinante, ovvero che priva momentaneamente della vista per mezzo di un'intensa luce.
La trilogia di Cartarescu fa parte di quel genere indefinito, dai contorni sfumati, in cui elementi autobiografici duellano con dimensioni fantastiche, quasi oniriche, andando a creare un qualcosa di ineffabile ed estremamente affascinante. Affreschi più che storie, in una Bucarest del periodo comunista che però non è mai davvero protagonista, ma fa da sfondo, confondendosi. Di personaggi all'interno della trilogia ce ne sono moltissimi e moltissime sono le loro storie, incastrate l'una nell'altra come scatole cinesi infinite.
Una instancabile invenzione di creature, incubi, allucinazioni, alchimie e ancora suggestioni e angoscie che hanno contribuito a elevare il nome di Mircea Cartarescu, dando vita a paragoni eccelsi, tra cui spiccano Bolaño e Pynchon.
«Perché di fatto è la storia e non la sostanza ad attribuirci realtà. Si può essere scolpiti nella pietra e non esistere, persi chissà dove fra dune senza fine, ma se si è il fantasma di un sogno si viene giustificati, costruiti appunto dalla luce viva del sogno. E lì, nella storia confusa che si svolge sotto una calotta cranica durante il sonno, si è più veri di un miliardo di mondi abitati.»