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Una grande storia da un passato che non c’è più, raccontata con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero.
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Acquistato da regalare ad un amante della montagna mi è stato successivamente prestato per la lettura. Non è dato sapere quanto, poco o tanto, ci sia di romanzato nella descrizione di questo personaggio, realmente esistito, che ha vissuto, suo malgrado, le tristi vicende della Grande Guerra. Lettura coinvolgente ed utile per capire come la storia si ripeta spesso senza significative variabili.
Questo libro racconta la storia romanzata di un personaggio realmente esistito, detto "Moro", come suggerisce anche il titolo stesso. Pur nascendo come una biografia del suddetto personaggio, la storia ruota intorno al Monte Grappa ed al suo ruolo nella Prima guerra mondiale. Da questo luogo, infatti, verranno raccontati moltissimi orrori bellici che si enstenderanno, purtroppo, sia per geografia che per gravità. Consigliato per tutti gli amanti della storia e/o della montagna.
Brevemente è una biografia molto romanzata di un personaggio esistito veramente, tale Agostino Faccin, che tutti chiamano “il Moro” e la cui grande aspirazione è di salire di quota, di percorrere quelle montagne che svettano vicino a casa e in particolare una, la Grapa, l’odierno Grappa, per la quale ha una particolare e intensa venerazione. Vorrebbe che rimanesse sempre così, come era da tempo immemorabile, ma nell’economia della Grande Guerra la Grapa può diventare un forte baluardo atto a frenare e a impedire l’avanzata nemica ed ecco allora che vengono realizzate strade, scavate gallerie e trincee, insomma uno sconvolgimento di quel mondo che il Moro ritiene perfetto e in cui si sente realizzato. Sarà costretto dai militari ad andarsene, a scendere al piano, ma quando quella carneficina finisce ritornerà sulla cima e di fronte allo sconquasso provocato dalla guerra cercherà, in base alle sue possibilità, di rendere onore alla sacralità della montagna. E’ questa sorta d’amore per il Grappa che dona lustro all’opera, sono le descrizioni di un mondo eternamente incantato e che solo l’avidità dell’uomo può corrompere, sono le pagine in cui la prosa è soffusa da un alone di poesia, come nel caso della morte del cane che gli ha fatto a lungo compagnia quando il Moro gestiva il rifugio sulla cima, senza dimenticare che la tragedia della guerra con i suoi mutilati e i suoi morti viene anteposta ai risultati delle battaglie, un chiaro intento pacifista che non può essere che lodevole, perché rifugge dalla facile retorica. Credo proprio che Il Moro della cima rientri fra i romanzi di Malaguti che mi hanno convinto e pertanto invito a leggerlo, perché lo merita.
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