(Mosca 1799 - Pietroburgo 1837) scrittore russo.La vita Nato da una famiglia di piccola ma antichissima nobiltà, crebbe in un ambiente familiare favorevole alla letteratura: lo zio paterno, Vasilij, era poeta; anche il padre si dilettava di poesia e frequentava letterati di primo piano come N.M. Karamzin e V.A. Žukovskij. Ma la casa pur così ricca di libri, soprattutto francesi, che stimolarono le precoci letture del ragazzo, non lo era altrettanto di affetti e di calore: nell’infanzia e nella prima adolescenza P. restò per lo più affidato, secondo l’uso del tempo, alle cure di precettori francesi e tedeschi e soprattutto a quelle della nutrice, la «njanja» Arina Rodionovna, che alimentò la sua vivace fantasia con i racconti delle antiche fiabe popolari. Un ambiente sostitutivo della famiglia P. lo trovò poi, negli anni dal 1812 al 1817, nel famoso liceo di Carskoe Selo; di quel periodo sono le sue prime prove poetiche e i suoi primi contatti con i portatori delle nuove idee riformatrici. Uscito dal liceo, P. ottenne un impiego al ministero degli Esteri, e partecipò intensamente alla vita letteraria e mondana della capitale. Nel 1820 colse il primo clamoroso successo con il poema Ruslan e Ljudmila ma, a causa di certi componimenti «rivoluzionari», fu confinato nella lontana Ekaterinoslav; lì, ammalatosi, fu ospite della famiglia Raevskij. Seguì poi i Raevskij in un viaggio in Crimea e nel Caucaso, ma verso la fine del 1820 dovette raggiungere la nuova sede di Kišinëv in Moldavia: ci restò fino al 1823, quando gli venne concesso il trasferimento a Odessa. Lì poté godere di una vita meno monotona, segnata da due amori: uno per la dalmata Amalia Riznic, l’altro per la moglie del governatore locale, il conte Voroncov.Nel 1823, per l’intercettazione di una lettera in cui esprimeva idee favorevoli all’ateismo, P. venne licenziato dalla burocrazia imperiale e costretto a vivere nella tenuta familiare di Michajlovskoe, nelle vicinanze di Pskov. Il forzato isolamento impedì al poeta di partecipare alla rivolta decabrista del 1825.Nel 1826 il nuovo zar Nicola II lo chiamò a Mosca per offrirgli un’occasione di «ravvedimento»: il «perdono» significava, in realtà, una sorveglianza ancora più diretta e paralizzante; nello stesso tempo avere accondisceso a un compromesso con il potere alienava da P. l’entusiasmo dei giovani. Nel 1830 P. sposò la bellissima Natal’ja Goncarova che gli diede quattro figli, ma anche molti dispiaceri con la sua condotta frivola che alimentava i pettegolezzi della corte. In seguito a uno di questi pettegolezzi, più pesante degli altri, P. sfidò a duello, il 27 gennaio 1837, il barone francese Georges D’Anthès: ferito a morte, spirò dopo due giorni.La poesia Già le liriche «liceali», in sostanza imitative, nel tipico gusto dell’Arzamas (la semiseria società poetica creata da Žukovskij, Batjuškov, Vjazemskij), ma incredibilmente mature e scaltrite dal punto di vista tecnico, e la limpida ironia di stampo voltairiano che informa il poema Ruslan e Ljudmila (1820), indicano, fin dagli inizi, la sostanza «francese», l’ispirazione classica della lirica di P., che privilegia il momento della composizione, della scelta lessicale e sintattica rispetto a quello della creazione metaforica. Anche nei cosiddetti «poemi meridionali», scritti a Kišinëv sotto l’influenza di Byron (Il prigioniero del Caucaso, 1820-21; La fontana di Bachcisaraj, 1822; I fratelli masnadieri, 1821), dove materiali di cronaca e di storia, di autobiografia e di leggenda, concorrono alla maturazione della sua vocazione realistica, l’incontro con il poeta inglese condizionò più i temi e le atmosfere (e soprattutto certe cadenze narrative) che non la forma, sempre tesa a un ideale di purezza e perfezione verbale perseguito attraverso una irripetibile corrispondenza tra lessico, costruzione sintattica e impianto metrico.La fase centrale e più alta della lirica puškiniana è dominata dal romanzo in versi Eugenio Onegin (Evgenij Onegin), iniziato nel 1823 e portato a termine nel 1831: un poema narrativo in 8 canti la cui prima chiave di lettura suggerisce l’immagine di un perfetto, concluso organismo vitale nel suo graduale evolversi dall’esuberante vitalità del primo capitolo alla compressa tensione drammatica degli ultimi passi. Nato, come impulso iniziale, dal ricordo del Don Juan di Byron e influenzato, come struttura narrativa, dal Tristram Shandy di L. Sterne, il poema divenne (più che la stessa prosa di P.) il modello di una lingua fondamentale del romanzo russo ottocentesco; il suo peculiare «realismo poetico» (dove la descrizione è stimolata dall’atmosfera emotiva dei personaggi e scavalca la pura analisi psicologica) è la matrice della grande tradizione realistica: da Lermontov a Turgenev a Goncarov fino a Guerra e pace di Tolstoj, Onegin, con la sua irresponsabile autoindulgenza, e Tat’jana, la donna virtuosissima ma non puritana né moralista, sono i capostipiti di tutta una serie di personaggi della letteratura russa moderna, anche se, come ha osservato il critico D.P. Mirskij, «il classico atteggiamento di Puškin, di simpatia senza pietà per l’uomo, e di ammirazione senza ricompensa per la donna, non è mai stato fatto rivivere». Nel periodo in cui P. lavorava all’Onegin nacquero anche Il conte Nulin (1825) e La casetta a Kolomna (1830), ironici e piccanti racconti in versi di argomento contemporaneo; Gli zingari (1824), la cui raffigurazione idealizzata degli zingari bessarabici come rappresentanti di uno stato naturale dell’umanità diede modo a Dostoevskij di parlare di scoperta e difesa dell’anarchia; Poltava (1828), dove alla storia dell’amore di Mazeppa, il vecchio cosacco, si intreccia il motivo epico della lotta di Pietro il Grande contro Carlo di Svezia. Sempre a questo periodo risalgono alcune tra le più perfette liriche puškiniane, che vanno sempre più perdendo ogni traccia di accattivante emotività lirica per raggiungere, negli anni Trenta, un ideale di «elegia oggettiva», impersonale nella sua universalità, spesso volta a dar corpo a sentimenti corali. L’ultimo grande poema «narrativo» di P., Il cavaliere di bronzo (scritto nel 1833, pubblicato postumo nel 1841), è una drammatica espressione del contrasto tra ragione di stato e diritti dell’individuo, simbolizzati nella figura di Evgenij, il primo piccolo burocrate della letteratura russa ottocentesca, un insignificante impiegato alle prese con l’inondazione di Pietroburgo del 1824. P. scrisse inoltre splendide fiabe in versi (tra cui spiccano La favola dello zar Saltan e La fiaba del galletto d’oro), nelle quali il magistero formale dello scrittore è in perfetta sintonia con l’atmosfera e gli umori del folclore russo.La prosa e il teatro Dal 1830 (del 1828 è il romanzo storico incompiuto Il negro di Pietro il Grande, in cui è rievocata la figura di un avo di P., l’etiope Hannibal, che era stato ingegnere generale alla corte di Pietro il Grande) P. si dedicò intensamente alla prosa. Nacquero così i Racconti di Belkin (1830), dove la trama-aneddoto serve da pretesto a P. per mettere a punto perfetti congegni narrativi; La figlia del capitano (1836), storia della rivolta di Pugacëv, il cui conciso realismo, sottilmente ironico, doveva fornire alla narrativa russa una stimolante alternativa allo splendore ornamentale di Gogol’; La donna di picche (1834), che trova la sua più alta suggestione nella compressione di una materia altamente romantica ed evocativa in una forma di nobile nudità parnassiana.Al teatro P. diede il grande affresco drammatico in prosa e versi Boris Godunov (composto nel 1825, pubblicato nel 1831), il primo tentativo russo di tragedia romantica (in senso shakespeariano), il cui soggetto è ripreso dalla Storia di Karamzin, e quattro «microdrammi» in versi: Mozart e Salieri, Il festino durante la peste, Il cavaliere avaro, Il convitato di pietra (1830), nei quali P. affronta con una scrittura splendidamente disadorna alcuni nodi di intensa drammaticità psicologica.Di P. restano inoltre, insieme a frammenti di opere incompiute (il dramma Rusalka, il romanzo Dubrovskij), la Storia della rivolta di Pugacëv (1834), mirabile saggio di letteratura storico-narrativa, Viaggio ad Arzrum (1836), resoconto di un viaggio sul fronte caucasico nel 1829, e un fitto e illuminante Epistolario.La fortuna critica Tra i contemporanei P. riscosse paradossalmente i maggiori successi con le opere giovanili. A partire da Poltava, l’accoglienza del pubblico fu sempre più fredda; a trent’anni, P. era considerato dai giovani un classico fuori moda. I criteri «utilitaristici» che prevalsero nella critica letteraria durante gli anni Cinquanta e Sessanta, impersonata da N.G. Cernyševskij, impedirono una giusta valutazione dell’opera puškiniana; solo alla fine del secolo il culto di P. uscì dalla stretta cerchia di imitatori (grazie anche al famoso discorso di Dostoevskij del 1880) per diffondersi in ogni strato del pubblico e diventare una costante della cultura russa prerivoluzionaria e di quella sovietica.Una delle questioni più dibattute dalla critica fu quella del romanticismo o classicismo dell’opera di P.; a parte l’impossibilità di classificare univocamente un’opera così vasta e pregna di conseguenze e risonanze, oggi, in prospettiva, il romanticismo puškiniano deve essere inteso soprattutto come funzione violentemente innovatrice di un’opera che ruppe i ponti con la tradizione settecentesca, con ogni tendenza arcaista, con ogni tentativo pseudoclassicheggiante, imponendosi tuttavia, nel momento stesso di questo rifiuto, come modello classico e fonte di tradizione.