Giovanni Pascoli, autore emblematico della letteratura ottocentesca italiana è considerato, insieme a Gabriele D’Annunzio, uno dei maggiori poeti decadenti italiani.
Padre della poetica del fanciullino, ha elaborato un sentimento poetico di concezione intimistica legato al quotidiano, e nelle sue poesie cerca di recuperare una dimensione infantile e quasi primitiva della vita.
Giovanni Placido Agostino Pascoli nasce il giorno di San Silvestro; è il quarto di dieci figli. All'età di dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti, mentre era di ritorno a casa sul suo calesse. Da quel momento la famiglia perde quella condizione di benessere economico di cui godeva e inizia a sgretolarsi a causa delle numerose morti: prima la madre, poi alcuni fratelli.
Nel frattempo Giovanni prosegue gli studi prima a Firenze, poi a Bologna, dove aderisce alle idee socialiste: durante una delle sue attività di propaganda nel 1879 viene arrestato. Nel 1882 si laurea in lettere.
Inizia a lavorare come professore: insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno. In questo periodo pubblica le prime raccolte di poesie: L'ultima passeggiata (1886) e Myricae (1891).
Negli anni seguenti si trasferisce con la sorella Maria, unica compagna della sua vita, a Castelvecchio di Barga. In seguito ottiene un posto per insegnare all'università, prima a Bologna, poi a Messina e infine a Pisa.
Pubblica i Poemetti (1897), i Canti di Castelvecchio (1903) e i Miei pensieri di varia umanità, raccolta di discorsi politici, poetici e scolastici, scritti durante gli anni di conversione alla corrente nazionalistica.
Ottiene infine la prestigiosa cattedra di letteratura italiana a Bologna, prendendo il posto lasciato da Giosuè Carducci.
Nel 1907 pubblica Odi ed inni, a cui seguono Canzoni di re Enzo e i Poemi italici (1908-1911).
Nel 1912 la sua salute peggiora e deve lasciare l'insegnamento per curarsi. Trascorre i suoi ultimi giorni a Bologna, dove muore il 6 aprile.