Carlo Gozzi è stato uno scrittore e drammaturgo italiano. Nato da famiglia nobile ma in gravi difficoltà economiche, si rifiutò sempre, per aristocratico orgoglio, di ricavar guadagni dalla sua attività di letterato. Nel 1747 fu, insieme col fratello Gasparo, tra i fondatori della veneziana Accademia dei Granelleschi, una delle istituzioni più conservatrici del Settecento. In polemica con C. Goldoni e con P. Chiari, colpevoli a suo giudizio d’aver messo in scena argomenti troppo realistici e plebei, pubblicò alcuni scritti satirici (come La tartana degli influssi per l’anno 1756, 1757) e, tra il 1761 e il 1765, fece rappresentare con successo dalla compagnia del «Truffaldino» Antonio Sacchi dieci Fiabe teatrali, che riprendevano schemi e maschere della commedia dell’arte: in esse gli argomenti fiabeschi (tratti dalle Mille e una notte e dal Pentamerone del Basile) s’intrecciano, in un vivace gioco scenico, alla satira di personaggi contemporanei. Le più celebri sono: L’amore delle tre melarance (1761, dapprima stesa in forma di canovaccio), storia popolata di maghi, fate e castelli incantati; Turandot (1762), che sostituisce al fascino della magia quella dell’esotismo; L’augellin belverde (1765), fantasiosa caricatura delle ideologie settecentesche, cui viene contrapposta la saggezza tradizionale. A Sacchi G. fornì poi una serie di riduzioni dal repertorio tragicomico e romanzesco del teatro spagnolo del Seicento in cui introdusse le maschere (Brighella, per es., ne I due fratelli nemici, da A. Moreto). Riprese la polemica antilluministica nella Marfisa bizzarra (1761-68), poemetto eroicomico di 12 canti in ottave, scritto sui modelli di L. Pulci, di T. Folengo e di N. Forteguerri. Dall’odio per un nobile veneziano, Antonio Gratarol, che aveva sottratto a G. l’amore dell’attrice Teodora Ricci, nacquero le Memorie inutili (1797-98), un’autobiografia in tre parti che contiene felici rievocazioni della vita dell’autore e di quella veneziana dell’epoca. Tutta l’opera di G. è attraversata da un’acre, puntigliosa polemica contro quei principi illuministici che condannarono una società e una letteratura cui lo scrittore era indissolubilmente legato. Come autore di teatro G. ebbe in patria successo immediato quanto effimero. La sua fortuna fu maggiore all’estero, specie tra i romantici tedeschi e francesi, che ne apprezzarono gli elementi fiabeschi.