(secc. X-XI d.C.) filosofo indiano, vissuto nel Kashmir. Commentatore del Na?yasastra di Bharata e del Dhvanyaloka di Anandavardhana, fu il pensatore che portò forse più a fondo, in India, la riflessione sull’esperienza estetica (in sanscrito rasa, che letteralmente significa «succo, gusto, degustazione»), individuandola in una condizione di libertà dal tempo, dallo spazio e dalla connessione mentale causa-effetto. Tale condizione, «simile a un fiore nato per virtù di magia», è indotta nel lettore del testo poetico (o nello spettatore del dramma teatrale) dal dhvani, il potere di «risonanza, suggestione, manifestazione» del linguaggio poetico, ed eleva temporaneamente chi lo esperimenta a un piano di conoscenza analogo a quello offerto dall’esperienza religiosa, permettendogli di «assaporare» i sentimenti evocati senza esserne coinvolto e condizionato. A. va inoltre ricordato come mistico, seguace del tantrismo sivaita e autore dell’enciclopedico Tantraloka («La luce delle sacre scritture») e del più breve Tantrasara («L’essenza dei tantra»).