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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2023
Anno edizione: 2020
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Galimberti, come sempre, è garanzia di analisi e di lucidità di esposizione. Il libro si presenta come una guida al pensiero di Heidegger, poco più che un commentario, ma in realtà è molto, ma molto, più di questo. Galimberti legge Heidegger con la lucidità di un osservatore attento e critico di prima scelta. Non si limita a spiegare Heidegger, ma offre una nuova lettura con il quale poter decodificare il pensiero di un grande nome del Novecento a fronte dei temi dell'oggi.
Questo libro è una lettura alla guida di Heidegger e conduce da “un primo inizio” a “un altro inizio”. Umberto Galimberti sin da subito avverte il lettore circa il cammino che affronteranno insieme e che va dallo stupore platonico – che Heidegger definisce il “primo inizio” – alla curiosità moderna, all’altro inizio, contrassegnato dall’avvento della techné. Lo sfondo concettuale del saggio s’innesta sul nichilismo heideggeriano. Se quello nietzschiano fa riferimento alla distruzione dei valori, in Heidegger è connesso alla nullificazione del senso dell’essere. Il nihilismus è l’oblio dell’essere e la verità è la manifestazione dell’occultamento dell’essere. La philosophia, adottando il punto di vista umano, diventa antropologia. Qui trova posto il concetto heideggeriano dell’uomo come essere-nel-mondo, come colui che – superando lo iato tra soggetto e oggetto – fa subentrare, “l’unità tra esistenza e mondo”. Perciò, l’essere e l’ente sono legati da un rapporto di identità e differenza. Essere-nel-mondo significa, in senso heideggeriano, la co-implicazione tra uomo e mondo. Questa fase della speculazione heideggeriana è definita dell’«analitica esistenziale», basata sul distinguo fra l’esistenza autentica, in cui l’individuo è conscio di essere un essere-per-la-morte, e l’esistenza inautentica, in cui egli ha cura per le cose effimere e banali. Si apre, così, l’epoca post-metafisica. Il punto d’incontro tra la metafisica tradizionale e la modernità è costituito dalla ricerca della verità dell’essere, il cui compito è reso arduo dal tramonto del linguaggio dell’Occidente. Ma se è vero che per ogni fine c’è un nuovo inizio, non è meno vero che ad ogni tramonto succede una nuova alba che necessita della creatività artistica, intesa come apertura al mondo, inconoscibile per l’uomo moderno, per il quale la natura è la materia prima per la sua produzione. E la tecnica non è più lo strumento nelle mani dell’uomo, ma è quest’ultimo ad essere diventato funzionario di quella.
Quale commento si può fare a questo bel libro di Galimberti su Heidegger? Verrebbe da dire nessuno: il libro è talmente coinvolgente che lascia poco spazio a una reazione critica. Almeno così è ad una prima lettura a caldo. Poi, col passare dei giorni, rileggendo e ruminando le cose che Galimberti in modo così puntuale e seducente ci mette davanti, sorge qualche perplessità; che sarebbe bello indirizzare direttamente a lui, se il lettore avesse, in questi tempi di estrema povertà culturale, la possibilità di parlare agli autori di cui legge i libri. Ma questa, ahimè, è la situazione dell’editoria nel mondo contemporaneo: i lettori devono essere solo lettori e niente di più. Per non dire che di sicuro il fenomeno è peggiorato di molto nell’attuale età della tecnica in cui viviamo, dove il funzionamento di un apparato sarebbe a dir poco compromesso da un’attività del genere. Comunque sorvoliamo su ciò e veniamo al punto. Per commentare l’opera di Galimberti si potrebbe osservare questo, che mancano alcune considerazioni importanti ai fini di una effettiva comprensione del pensiero di Heidegger. La prima considerazione da fare è che la metafisica non è solo un problema filosofico. Essa è innanzitutto uno stile di vita, una forma dell’esserci "nell’ossessione del sapere", una specie di malattia. Sì, perché la nostra salute consiste nell’essere pieni di vita, mentre la metafisica ci costringe ad allontanarci dalla vita. La metafisica non è solo abbandono o oblio dell’essere, essa è per lo più abbandono della vita. Di fronte a questa bella lectio magistralis di Galimberti su Heidegger, ad esempio, viene spontaneo chiedersi dove era il suo "in-der-Welt-sein" quando scriveva questo libro. È da chiamarsi vita il rimanere chiusi a casa per ore e ore seduti ad uno scrittoio, con numerosi libri aperti sparsi qua e là, a sviscerare parole su parole e concetti su concetti, mentre là fuori la vita pulsa maestosa nel suo esserci, bella e terribile ad un tempo? Da che cosa è venuto fuori questo bel libro se non da una mancanza di vita e di essere? Dov’erano, per Galimberti, la luce, il sole, la pioggia, l’aria, il vento, le nuvole, la terra e gli alberi, che la metafisica sotto forma di smisurata téchne posseditrice degli enti ci sta portando via un giorno dopo l’altro? Come potrebbe questa sottrazione di vita e di essere, di vero pensiero, che langue pietrificato nelle mortifere e mortificanti astrazioni dei filosofi, dar luogo a quell’"altro inizio" preconizzato da Heidegger? Come poteva Heidegger stesso, per quanto proiettato “unterwegs zur Sprache”, in ascolto dei poeti, realizzarlo, visto che era anche lui, malgrado tutte le sue critiche al pensiero metafisico occidentale, avviluppato nella stessa mancanza di vita e di essere con le sue contorsioni linguistico-concettuali? Cosa poteva mai imparare dai poeti? Per imparare qualcosa bisogna prima disimparare, bisogna prima liberarsi di abitudini inveterate così come ci si libera di abiti logori e maleodoranti. L’"evenire" dell’essere, così, viene meno attraverso le proposizioni di Galimberti impregnate di metafisica, e viene meno proprio nel momento in cui egli magistralmente lo mette in luce spiegandolo. Oggi la riflessione su Heidegger più che snodarsi sui vari versanti dell’esistenzialismo o della fenomenologia, dell’ontologismo o dell’ermeneutica, dovrebbe indirizzarsi al naturalismo o, meglio ancora, all’"unterwegs zum Naturalismus des Seins". È lì, nel linguaggio della natura, che fa da fondamento a qualsiasi altro linguaggio sviluppatosi storicamente, che giace e può prendere forma il “nuovo inizio”, “der andere Anfang” o meglio "der wiedergeborene alte Anfang". È lì, nella natura e con la natura, nella campagna e tra gli alberi, i quali, diversamente da come dice Socrate nel Fedro, hanno molto da insegnare, che bisogna ritornare. Ecco il vero "zurück zu Schritt"! E sempre restando in tema di linguaggio, la seconda considerazione importante riguarda, nello specifico, appunto proprio quest’ultimo. Il discorso di Heidegger, si noti, non tiene conto che il linguaggio è un fenomeno recente nella storia dell’umanità. Per diecine di migliaia di anni, l’uomo non ha avuto nessun linguaggio. Il suo modo di esprimersi non era altro che un insieme disarticolato di suoni, dietro ai quali però c’era un pensiero fatto di immagini che "eventava" l’essere nella sua misteriosa sacralità. Esse erano legate a stati d’animo di stupore e incanto, spavento e terrore, paura e angoscia da una parte; e dall’altra oscillavano tra i vari istinti e bisogni della sopravvivenza, come la fame e la sete, il freddo e il caldo, la luce e il buio. Questo pensiero fatto di immagini, che ancora oggi possiamo vedere nei graffiti e nelle raffigurazioni preistoriche, era il vero pensiero aurorale degli inizi, molto più potente del pensiero verbale preplatonico; che in fondo era la parte finale di un percorso lunghissimo attraverso i millenni. Quindi quando si sottolinea l’importanza del linguaggio come "casa dell’essere", non bisogna dimenticare che c’è stato un altro linguaggio casa dell’essere. Non bisogna ritrovare pure codesta casa dell’essere? Infine sorge, forse con un po’ di tristezza, ancora un’altra considerazione, e cioè che la metafisica è connaturata con l’uomo sin dalla sua comparsa sulla faccia della terra. Il suo manifestarsi, sebbene tardi nel processo evolutivo, era quasi inevitabile e faceva parte del suo "Geschick". Ma se le cose stanno così, non ha alcun senso parlare di ritorno al pensiero aurorale. Questo non è più possibile. Viceversa è forse possibile emendare la metafisica, facendo sì che essa non bruci la vita e l’essere per accendere le parole o per devastare la natura attraverso la tecnica. La vera battaglia oggi è forse nell’emendabilità del pensare metafisico, che potrebbe arricchirsi con gli slanci del pensiero aurorale, sia vicino che lontano, e farci approdare sulle spiagge più rasserenanti di un “nichilismo positivo”.
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