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Non piango mai quando termino la lettura di un libro. 400 pagine di testimonianza così vivida, dolorosamente colorata, da ridurmi quasi ad un cencio…ho quasi pianto. Dico “quasi”, perché ho un cuore di ghiaccio, io. Ma il libro è dannatamente bello. A tratti, lo ammetto, soprattutto agli inizi, si insinuava tra i miei pensieri l’idea che Bedeschi osannasse gli alpini per osannare la guerra degli alpini. Mi sbagliavo, per fortuna, e sono giunto alla conclusione che le parole amorose rivolte agli alpini siano le parole di un fiero alpino, di un uomo che faceva parte di un gruppo peculiare, di uomini che possono contare solo sui compagni, compagni di guerra e di sciagure. E allora va bene così. La guerra raccontata da Bedeschi è molto “grafica”. In confronto a quella raccontata da Rigoni, che molto si sofferma sull’asfissiante bianco e sul’infernale gelo di una steppa immensa, Bedeschi affonda la lama, rende gli scontri vivi, violenti, sonori… grafici. E ci aggiunge lo stesso senso di piccolezza cosmica, di disperazione, di confusione “cognitiva”, quella indotta dal gelo. Ci sono punti del racconto dove il solo descrivere le pene degli alpini fa girare la testa. Si fa fatica a credere che l’attaccamento dei sopravvissuti alla vita fosse talmente forte da resistere all’ennesimo sbarramento, all’ennesimo scontro, all’ennesima notte in cammino. “Centomila Gavette di Ghiaccio” è pertanto un manifesto alla grandezza della vita, alla futilità della guerra, a quei sentimenti di umanità, di carità e di attaccamento ai propri cari.
Bellissimo
L'ho divorato. Alcuni passi mi hanno emozionato al punto da farmi piangere. Un libro che tutti in Italia dovrebbero leggere per leggere di un pezzo di storia di cui a scuola si studia troppo poco, raccontata dagli occhi e dalla penna di qualcuno che ha davvero vissuto la tragedia della Campagna di Russia!
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