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Il cinema di Woody Allen è solito esprimere i temi cari e prediletti adottando il linguaggio del dramma morale ed esistenziale oppure facendo ricorso al filtro della commedia brillante, secondo un’alternanza eclettica di generi espressivi che si richiama a molteplici modelli cinematografici, dal prediletto Bergman alle varie declinazioni della commedia sofisticata. “Café Society” sembra proprio rientrare in quest’ultimo filone e ci racconta le avventure di un giovanotto di famiglia ebraica, condotto dai casi della vita e dai propri sogni ed ambizioni a farsi strada nell’alta società, trasferendosi dalla natia New York al mondo dorato, artificioso e un po’ fatuo di Los Angeles, fino ad Hollywood e alla mecca del cinema. Qui inizia a intraprendere il suo cammino esistenziale e viene reclutato dallo zio, produttore influente del cinema, ma si renderà conto presto che quel mondo di lustrini e pescecani è falso, artefatto e intriso di doppiezza. Egli stesso ne è infatti vittima con una delusione di amore, avendo messo gli occhi su una donna che a sua insaputa scoprirà essere un oggetto simultaneo del desiderio suo e dello zio medesimo. Una volta ritornato a New York, i casi della vita però lo portano, anche con l’aiuto del fratello gangster e delle sue amicizie influenti, ad attuare la scalata sociale, diventando il gestore di successo di un famoso night club frequentato dal bel mondo del cinema, dai campioni dello sport, dal sottobosco della politica e dell’alta società vip: la frivola, fatua, inconsistente Café Society appunto, elitaria, esclusiva e avvolta in un alone costante di gossip. Questa in sintesi la trama principale su cui si innestano però, in modo casuale e imprevedibile, gli accidenti della fortuna e della sorte, ingredienti ricorrenti in Allen, Il passato torna infatti a far capolino anche nella nuova vita del protagonista, ormai uomo di successo e star del bel mondo riaccasato con la nuova fiamma, poiché una sera la ex ripiomba in visita al suo night, in compagnia di gente del cinema e del marito, produttore e appunto zio del protagonista. Il fatto è che, sembra dirci Allen, la vita è sempre imprevedibile negli scherzi della sorte e del destino, ma la felicità esiste e tutti possono goderne. A maggior ragione, vale la pena vivere le proprie esperienze e in questo quadro anche il passato, sebbene non ripercorribile all’indietro, continua ad esistere dentro di noi e a tessere la storia di ciascuno con la sua trama di ricordi che danno comunque sapore alla vita. Emozioni, sentimenti e tutto ciò che caratterizza il mondo interiore ed affettivo di ciascuno di noi continua a perpetuarsi nelle esistenze, lasciando tracce vive che riaffiorano. E' solo diverso il rapporto di ciascuno con ciò. Infatti il protagonista, il giovane ebreo, forte delle sue esperienze, malgrado mantenga anch’egli un ricordo vivo del suo passato, ha raggiunto la matura consapevolezza dei cambiamenti della vita, avvertendo che il passato è appunto trascorso perché le cose e le persone cambiano. Egli sa bene che i sogni sono sogni e niente più, come ama ripetere con buon senso e con acquisita saggezza, anche alla luce di quanto accaduto proprio a lui, giovanotto un tempo spontaneo e assai più ingenuo, che aveva conosciuto e frequentato il mondo falso, duplice ed artefatto dello star system e della café society; ne era rimasto colpito, ingannato e disilluso ma in seguito aveva finito per entrarci con successo e farne a suo modo parte, sebbene con il giusto distacco. Diversa la scelta di vita della sua ex che, puntando da subito sullo zio produttore in grado di dare maggior sicurezza alla sua vita e preferendolo al giovane affascinante e romantico ma squinternato, ne era uscita felicemente sposata e si era più da vicino inserita nel bel mondo, ma con la sensazione costante di uno strappo esistenziale avvenuto nella propria vita: ne è traccia il suo sguardo costantemente trasognato e perso verso una sorta di altrove per l’intero film, quasi a vagheggiare un passato ormai perduto e tramontato ma ricco di lati positivi e quindi ancora vivo per lei. Tuttavia Allen ci dice che non ci sono regole predefinite per l’esistenza e sullo sfondo della café society quale metafora, discrimine e spartiacque delle scelte di vita, anche i sogni sono a loro modo una realtà parallela che permane ed alimenta quella principale dell’esistenza: sorta di illusioni-valori (secondo l’accezione cara al pensiero e alla filosofia classica), potenziano la vita arricchendola ed esaltandola con le sfumature molteplici del mondo emotivo, regalando anch’essi nuovi ed ulteriori momenti di felicità, in un’esistenza comunque degna di essere vissuta e sempre dialettica. Il film risente dunque dei temi e motivi più familiari e cari ad Allen, a cominciare da quelli vicini al pensiero, all’etica, alla morale e alla filosofia più classica ed antica (di stampo materialistico ed epicureo), sul valore vitale dell’esistenza e sulla possibilità, sia pure momentanea, di raggiungere una qualche forma di felicità alimentata dal vissuto di ciascuno, compresi i ricordi e il passato, le illusioni e sogni. La consueta eleganza e raffinatezza della regia ci regalano momenti deliziosi di grande cinema, con la cura e ricercatezza nel ritratto d’ambiente, la poesia ispirata di luoghi e persone, il tutto accompagnato dal costante commento musicale del prediletto jazz (la vicenda si svolge infatti negli anni ’30, epoca d’oro del cinema e del jazz). Assai sentiti come sempre sono gli omaggi all’amatissima New York che fa da corollario, anche con i suoi lirici tramonti e scenari, agli incontri passati e rinnovati dei personaggi: tra tutti, la passeggiata romantica dei due ex amanti a Central Park per condividere di nuovo, dopo una bellissima serata a giro insieme che termina all’alba, ricordi e bilanci delle rispettive vite. Il momento topico e conclusivo della festa di Capodanno infine, come nel precedente “Basta che funzioni”, rappresenta per ciascuno dei personaggi e soprattutto per i due protagonisti principali (il giovane ebreo e la ex), ciascuno per proprio conto, un’occasione sociale e di riunione con amici ed intimi, ma anche un momento di riflessione sul presente e di ricordo del passato. Di grande suggestione la fotografia che rievoca via via, in fotogrammi ispirati a un certo gusto d’epoca, quasi dei fermo immagine e quadri di Hopper. Gustosa e assai divertente poi la descrizione della famiglia ebraica del protagonista che conferisce ulteriore brillantezza al film in numerose situazioni: per esempio in occasione dei guai giudiziari del fratello gangster del protagonista che lo portano, per un fatto di sangue di troppo, a finire condannato alla pena capitale, per poi scoprire da ebreo la conversione cristiana una volta giunto vicino alla fine, poiché l’ebraismo purtroppo non conosce l’aldilà ed è un peccato, perché potrebbe avere altrimenti assai più clienti ed adepti; infatti, al presentarsi e all’approssimarsi del momento supremo, non vale assentarsi per cercare di sfuggire fino all’ultimo al destino oppure scrivere una lettera di protesta al Times!
Woody Allen ci regala un'altra piccola chicca; sicuramente non uno dei suoi migliori film, ma comunque un'ottima pellicola. I temi trattati sono quelli classici di Woody Allen: commedia, battute sul mondo ebraico americano, storia d'amore, gangster e malinconia, il tutto raccontato con leggerezza ed eleganza, e ambientato splendidamente tra le New York e Los Angeles degli anni '30. La collaborazione col Direttore della Fotografia italiano, Vittorio Storaro, ha dato vita a luci e immagini splendide. Consigliato!
Altro capolavoro di Woody Allen. La trama sembra un po’ la solita minestra scaldata ormai mille volte (il nipote arriva in città e cerca lavoro dallo zio, si innamora della sua segretaria scoprendo, poi, che in realtà è l’amante dello zio), ma come la inscena Woody…non c’è storia. Una fotografia e una regia spettacolari, attori meravigliosi che incarnano alla perfezione i personaggi, il tutto in un’atmosfera anni ’20/30. Viene enfatizzata la bellezza di quel periodo, dei costumi e degli usi dell’epoca, veramente uno spettacolo per gli occhi che quasi non t’importa di come va a finire la storia. Film veramente eccezionale, che vale la pena vedere solo per la fotografia. Ma anche la trama è, come ogni film di Woody, una garanzia assoluta di una piacevolissima serata davanti a dell’ottimo cinema.
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