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Anno edizione: 2018
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"Un giornalista non lo sono diventato ancora e, per quanto ne so, non lo diventerò mai. Non ho voglia di acquisire tutte le deplorevoli qualità che costituiscono un perfetto giornalista. Faccio fatica a capire quelle persone che incontro negli hotel che gli alleati mettono a disposizione della stampa, persone secondo cui un piccolo sciopero della fame è più interessante che non la fame di molti. I tumulti per la fame sono sensazionali, ma la fame non è sensazionale e quel che pensa la gente affamata e amareggiata diviene interessante solo quando la povertà e l'amarezza esplodono in una catastrofe. Il giornalismo è l'arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile. Io non la imparerò mai." (lettera all'amico Werner Aspenström)
Questo libro è doloroso e poetico, per me una delle più belle letture degli ultimi anni. Dagerman va in Germania visita le grandi città rase al suolo, vive la vita dei vinti, osserva il popolo colpevole della guerra e delle efferatezze naziste. Va solo non è a seguito di nessuna potenza alleata, non alloggia negli alberghi riservati alla stampa. Guarda senza pregiudizio di colpa verso quel popolo, osserva la vita negli scantinati allagati, la fame feroce nelle città, il relativo benessere egoistico delle campagne, dove i contadini barattono il cibo con argenteria e altri oggetti di valore. Guarda con ‘pietas’ quel popolo vinto, la sua miseria, la sua fame. UNICO difetto la copertina non è quella riportata da Feltrinelli, ma quella nuova a mio avviso ORRENDA!
Credo che siamo di fronte a un grande autore.. Meglio non farsi sfuggire questo libro. Il capitolo 'Indesiderati', sull'accoglienza fatta dai bavaresi ai connazionali di altre regioni della Germania, racconta qualcosa di poco conosciuto.
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