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Due sono gli aspetti che fanno da apripista ad un libro ancora chiuso: copertina e titolo. Non sono mai stata particolarmente influenzata dalle copertine dei libri (eccezion fatta per la venerazione che nutro per Adelphi e Sellerio), ma quando ne vedo una bella la noto con piacere. E questa lo è: delicata, gentile, raffinata, con quel bianco e nero un po' sfocato di due giovani mani che non si sfiorano neppure, ma sono comunque in contatto, anche se non ci fosse quel sottile filo colorato che lega i loro mignoli. E poi il titolo. Per i titoli ho una vera passione, li trovo elemento essenziale di una narrazione, porta d'imbarco per il viaggio cui qualunque libro invita il lettore. E questo titolo è ben scelto, crea le giuste aspettative senza svelare praticamente nulla, suscita curiosità e consente di avanzare qualche ipotesi sul contenuto: da dove viene quel filo arancione? A cosa serve? Quale possibile ponte getta tra passato e futuro? Interrogativi cui solo la lettura della storia potrà dare risposte e dunque prendiamo il largo. La storia...o meglio un puzzle di storie, raccontate da una pluralità di voci narranti che si avvicendano, con maggiore o minore frequenza, a scrivere pagine di diario attraverso cui ricostruiscono le loro giornate di giovani uomini e giovani donne. Un puzzle di storie sul bisogno d'amore, perché questo in fondo è uno dei tratti fondamentali dell'adolescenza. Così come il dolore che troppo semplicisticamente a volte si pensa estraneo alle vite dei ragazzi e invece spesso li schiaccia col suo peso. In primo piano Mavi e Ale, due quattordicenni immersi nel loro tempo, nei loro gruppi amicali, nei luoghi della loro città, nei loro studi e nelle loro passioni e soprattutto nel loro legame, amore nascente, delicato, acerbo e poi via via sempre più solido. Intorno a loro gli amici, alcuni solidali, altri no, ma tutti alle prese con la fatica di diventare grandi. E poi c'è la musica (e come potrebbe mancare in un libro di questa autrice), filo conduttore che permea trama e struttura, perché tutti i personaggi principali sono interessati alla musica, hanno frequentato una scuola musicale e continuano a coltivare, chi più chi meno, la loro passione. E struttura, perché la musica è la colonna sonora del libro, apre ogni capitolo con la scelta di un brano e di un compositore, spaziando dalla classica alla trap (nettamente in prevalenza come ovvio) di cui vengono forniti brevi cenni su storia e stile. E qui sta un interessante tratto distintivo dei libri di N.R. perché anche nei precedenti ("Le mie sorelle erano innamorate di Andrea Giordana e io no" e "Ma perché non sono nata in Svizzera ") ogni capitolo era aperto, introdotto da una proposta musicale. Così come si può ravvisare un altro tratto distintivo comune ai tre libri nella scelta di chiudere ogni capito con un breve "corollario informativo" che riprende e spiega un elemento narrativo o descrittivo presente nel capitolo. Un'ultima osservazione vorrei fare riguardo al linguaggio, aspetto cui sono particolarmente sensibile e che mi sembra l'autrice sia riuscita a curare con particolare attenzione. Ognuna delle voci che raccontano questa storia che, nonostante la sicura centralità di Mavi e Ale, può essere definita una storia corale, ha il suo timbro, le sue caratteristiche linguistiche appunto. Certo c'è la giusta omogeneità delle voci dei ragazzi, accomunate da scelte lessicali e anche sintattiche tipiche del linguaggio giovanile, che si distingue e in alcuni casi si contrappone a quella degli adulti (due madri, un padre e soprattutto una grande nonna), ma anche nel gruppo dei ragazzi è possibile individuare sfumature diversificanti. Da quella marcata tra Ale e Paolo, diversi per ambiente sociale e culturale, a quella più sottile tra Ale e Manetta che pure condividono origine sociale e abitudini di vita. Così come si distingue chiaramente la voce di Sofia "la saggia" da quella di Elena intrappolata nei suoi desideri e nelle sue smanie di protagonismo. Eppure tutte giuste queste voci, tutte reali, tutte tenere, nonostante tutto, tutte irresistibilmente proiettate verso la vita, come invece agli adulti, spesso, non riesce più di fare. (Recensito da Patrizia Romano)
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