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Diciassette mesi nascosti sottoterra: l'avventura di quarantasei ebrei nel diario di un ragazzo che sfuggì ai nazisti.
Nei primi mesi del 1943 l'ombra della liquidazione incombeva sul ghetto di Drohobycz, una cittadina polacca ai piedi dei Carpazi. Gli ebrei scampati a due anni di occupazione nazista sapevano di essere condannati e cercarono di nascondersi in attesa dell'Armata rossa. Alcuni di loro, raccolti attorno alle famiglie Mayer e Schwartz, spesero le ultime risorse per costruire un bunker sotto una villa. Sedici persone, poi diventate quarantasei, si seppellirono in un buco di pochi metri, ma collegato alla rete elettrica e dotato di cucina. In quella comunità clandestina si pregava e si faceva l'amore, si cantavano canzoni yiddish, si giocava a scacchi e si litigava, sospesi tra il dolore per le atrocità vissute e il terrore di essere scoperti. Le notizie dal fronte arrivavano dalla radio, il cibo veniva fornito da un giovane ucraino ambizioso che nel bunker aveva due amanti. Nel racconto della loro lotta per la sopravvivenza, ricostruita grazie al diario e alla testimonianza di Bernard Mayer, allora quindicenne, Antonio Armano fa rivivere un luogo distrutto per sempre prima dalla Shoah e poi dal comunismo. Un mondo di mistici chassidim, affaristi senza scrupoli, eroi anonimi, personaggi romanzeschi quali Aron Szapiro, il geniale artefice del rifugio, soprannominato Al Capone per la somiglianza con il gangster, e lo scrittore Bruno Schulz, protetto dal nazista viennese Felix Landau, ma poi ucciso. Un mondo di persecuzioni, vendette feroci e ostilità inestinguibili nel quale gli ebrei, una volta usciti dalle loro tombe, dovettero riprendere a fuggire.
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