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Anno edizione: 1984
In verità, Fedra non è del tutto colpevole né del tutto innocente. Essa è trascinata dal suo destino e dalla collera degli Dei in una passione illegittima, della quale è lei per prima a essere inorridita”: così lo stesso Racine riassume, nella prefazione alla tragedia, il conflitto che lacera la protagonista, divisa tra l’amore incestuoso per il figliastro Ippolito e la consapevolezza della follia dei suoi sentimenti. In versi di cristallina bellezza, Racine parte dal soggetto di Euripide per donare ai suoi personaggi una complessità e una profondità del tutto moderne, fino a svelare i loro tormenti più intimi e nascosti. Nella sua introduzione, Giovanni Raboni esamina il contrasto tra la “perfezione castigata” della lingua di Racine e la violenza delle passioni indagate, permettendo così al lettore di cogliere tutta la grandezza di un capolavoro del teatro seicentesco europeo.
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perfetto
Leggi la scrittura teatrale della Fedra di Racine e senti messa in crisi tutta la tua ammirazione per la forma romanzo dall'Ottocento in poi, compresi i suoi straordinari precursori del Seicento e del Settecento. L'essenzialità con la quale riesce a raccontare di uomini e donne e di come l'amore - che non è solo sessuale ma che se non fosse intensamente sessuale che amore mai potrebbe essere? - che ne spezza le vite con l'intemperanza di un dio pagano o di un destino: in Racine c'è davvero tutto il necessario, ma il bello della modernità - e del romanzo che la racconta - è la scoperta successiva, l'aver scoperto come altrettanto necessario, per l'umano, sia anche il superfluo.
La tragedia parte, paradossalmente da un’assenza: Teseo è creduto morto e i personaggi, spinti dai propri confidenti, inciampano nelle loro parole e confessano i loro sentimenti dando inizio a un percorso in cui è impossibile tornare indietro. Le parole hanno qui, quindi, l’aspetto fondamentale: dirigono il tutto, l’azione vera e propria manca, così come le descrizioni. Le parole, fin quando sono taciute, non hanno potere né effetto, ma nel momento in cui escono scatenano un catena di causa-effetto. Nel momento in cui il personaggio si rivela allo spettatore, si rivela in realtà a se stesso, apre gli occhi accecati dalla passione, aiutato dal proprio confidente – lo spettatore arriva prima di lui alla verità sui suoi sentimenti. L’opera è composta da cinque atti, tre dei quali sentono la mancanza di Teseo che ritorna solo al quarto, continuando ciò che la sua assenza aveva cominciato. Questo – l’unico attore che Racine ha privato del confidente – sarà incapace di ragione come si confà a un eroe e un re e accelererà la tragedia. Il fatto che egli non abbia nessuno con il quale dialogare e confidarsi ha un’importanza rivelante: nell’opera, infatti, sono questi che riescono a far ragionare il rispettivo padrone, con effetti diversi. Sinceramente le uniche scene che non ho apprezzato sono proprio quelle con Teseo: è un personaggio troppo stupido che rovina la sinfonia di parole create da Racine. Sarà che anche nella storia antica ha il medesimo ruolo, e parliamo pur sempre di una tragedia, ma viene da ridere per la sua stupidità; e lui lo capisce troppo tardi. Mi è piaciuto molto il modo in cui il drammaturgo fa parlare i personaggi di sé, la passione che non riesce a nascondersi tra le righe e il rapporto nobile-confidente. In primis ho amato la scrittura di Racine, perché qualunque cosa raccontasse, anche la più stupida, era sempre perfetta.
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