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Le Bucoliche, dal greco ?????????, cioè pastore, mandriano, è la prima grande opera scritta da un ancor giovane Virgilio in un’epoca fra le più tragiche nella storia di Roma, quella delle guerre civili. Ci sono tutti i motivi per ritenere che questa raccolta di componimenti, costituita da dieci ecloghe esametriche, sia stata il frutto di un’idea spontanea volta a evidenziare il quieto mondo pastorale in contrapposizione all’orrore e ai lutti che allora insanguinavano il mondo romano. Quindi sono scaturite con un senso nostalgico e di rimpianto, ancor più acuito dalla perdita delle proprie terre, distribuite ai veterani nel 42-41 a.C. dal II Triumvirato. A differenza delle Georgiche e dell’Eneide, commissionate, nelle Bucoliche c’è una piena e completa libertà creativa, che permea l’opera, verso dopo verso, mai ribelle od ostile, ma additante un modo di vita che, anche all’epoca e stante la situazione politica, sembrava ormai remoto. La purezza dello stile, i temi trattati, un continuo senso evocativo, non disgiunto da un rimpianto dai toni tuttavia mai accesi, incantano ancor oggi il lettore e in un certo qual senso non fanno rimpiangere i tratti epici e anche intimisti dell’Eneide. Si avverte chiara la palpitazione di un poeta che brama esiliarsi volontariamente in un mondo idealizzato, che va oltre i ricordi fanciulleschi della sua casa ad Andes, dimora natia e quindi legata al cuore, ora più che mai, giacché non più sua, ma di un ignoto legionario. Sono pagine di un animo tormentato in cerca di una pace, metafora di un mondo, quello romano, che brama la stabilità, senza più lotte fratricide. Le Bucoliche furono un immediato successo e rivelarono in quel giovane che veniva dalla Gallia, di carnagione scura, poco incline all’ars retorica, un poeta nuovo, un artista che aveva in serbo idee che andavano oltre la linea tradizionale e che era in grado di trasformarle in lavori di grande fascino e pressoché perfetti. Quello che stupisce di quest’opera è la straordinaria attualità, perché Virgilio ci dice sostanzialmente che, nel caso di perdita dei valori, al fine di evitare che la realtà possa essere insopportabile, si deve avviare un dialogo con il proprio “io” volto alla continua scoperta di ciò che è in noi, in un ritorno all’essenza delle cose e della vita anche con l’osservazione, umile, della natura che sta intorno a noi. Per quanto ovvio, Bucoliche è un autentico capolavoro.
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