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Anno edizione: 2022
Anno edizione: 2013
Una storia elementare di fatica e di silenzi, di dolore e di violenza.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Fenoglio lo conoscevo esclusivamente come il cantore della Resistenza, poi mi è stato regalato questo libro. È un libro profondamente verghiano, dove la vita è amara e la lotta per la sopravvivenza si conclude sempre con una misera sconfitta. Il libro, scritto prevalentemente in piemontese, narra le tristi vicende di una famiglia contadina delle langhe e vede come protagonista, e voce narrante, il figlio di mezzo. La scala gerarchica è composta da sfruttati e sfruttatori a loro volta sottomessi dai padroni. I mezzadri provano a migliorare la propria condizione facendo vivere nel sacrificio famiglia e servitori, ma tutto va in malora (ed ecco spiegato il titolo). Il protagonista ad un certo punto del racconto compie un'analisi marxiana su lavoro e proprietà, una critica lucida dettata dalla fame e dallo sconforto. In diversi passaggi viene descritto anche il seminario, dove i preti si comportano come i padroni, con l'aggravante che i bottoni neri si fan pagare. Poi le brutture dell'epoca: la violenza casalinga, le donne relegate a oggetto di scambio e servitrici del padrone (anche quando il padrone è il marito). Fenoglio è un ottimo narratore e fa vivere al lettore la miseria di quella gente fin quasi a sentire il puzzo di sudore e sterco: la puzza di zolfo dopo una giornata a vangare la terra. Il libro non è solo un lungo racconto degli ultimi, ma è anche uno scorcio sulla vita di quei tempi, fatta di piccole dipendenze quotidiane: il vino, le carte e il fernet. È un libro angosciante, che mette addosso un profondo senso di nausea e schifo. È senza dubbio un romanzo storico che ci ricorda quanto siamo fortunati noi che siamo venuti dopo, ma era fortunato anche il suo autore quando lo scrisse all'inizio della ricostruzione dell'Italia.
Sulle langhe piemontesi la vita dei contadini non è per niente facile. La durezza della terra dà ai padroni la scusa per trattare male i servitori e il fieno, a tagliarlo quando il sole viene alto, ti domanda cinicamente quanti anni hai. Mesi e mesi di lavoro logorante per raccogliere meno del minimo necessario per vivere, schiene spezzate e fianchi dolenti per poter mangiare un boccone di polenta, anni di fatica e privazioni all'inseguimento di un sogno di riscatto dalla servitù, dalla mezzadria, dalla fame, dalla miseria morale e materiale che sembra sempre più difficile da realizzare. In questo contesto si svolge la vita del giovane Agostino Braida che per far fronte al decadimento economico della sua famiglia viene mandato dal padre a fare da servitore al mezzadro Tobia Rabino. L'allontanamento da casa e dagli affetti familiari sarà per lui altrettanto difficile dei tre anni di fame e sudore che lo attendono al servizio di un padrone cinico e avido che sfrutta fino allo stremo delle forze il ragazzo ma anche i suoi stessi figli, la moglie e perfino se stesso, senza lesinare quanto a bestemmie, improperi, minacce e cinghiate. Agostino proverà anche cosa significano le pene d'amore, ma la sua forza e l'idea di riuscire un giorno a tornare a casa a coltivare una terra tutta sua lo aiuteranno a resistere e a sopportare la "malora" che lo perseguita. La ferocia e l'inesorabilità della trama trovano riflesso in una prosa cinica, brutale, vernacolare, che rende bene l'idea della sofferenza del protagonista e dei suoi conterranei e della massacrante lotta dell'uomo contro i capricci del proprio destino. Quella che ci racconta Fenoglio è una storia cruda e drammatica, ma soprattutto una storia realistica, che rispecchia in pieno quello che era lo stato dei contadini italiani pochi decenni orsono. Una vita grama che incattivisce gli animi, una rabbia che mette le persone l'una contro l'altra, una fame che crea avidità e violenza. Una condizione di bestia da soma legata ad una terra porca che ti piglia la pelle a montarla, da cui l'uomo, anche nei momenti di peggior sconforto, continua a sognare di poter venir fuori e quando ci riesce si sente pronto ad affrontare al meglio qualsiasi difficoltà gli riservi il futuro: "Ho fatto quel ritorno come la cosa più bella della mia vita...Arrivato a veder San Benedetto, posai il mio fagotto in mezzo alla strada e feci giuramento di non lamentarmi mai anche se dovevo restarci fino a morto e sotterrato e viverci sempre solo a pane e cipolla, purché senza un padrone. E poi scesi incontro a mia madre, che anche per lei quello era il primo giorno bello dopo chissà quanto".
Era sullo scaffale tra i libri non letti..lo guardavo e riguardavo ma non ho mai trovato il coraggio di leggerlo...poi l'ho aperto...e l'ho letto: "LA MALORA" di Fenoglio, un classico della letteratura italiana, sulla scia del verismo sembra un pò la storia dei Malavoglia ambientata nelle langhe piemontesi, in un ambiente rustico e dalla dura povertà.Un racconto sicuramente triste e malinconico che però ci fa sentire fortunati in quella che definiamo "crisi"..pur avendo macchine, cellulari, tv e pc...
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