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recensione di Eufrasia Gentileschi L’ordine alfabetico contempla il disordine cronologico, in questa prima raccolta poetica di Michele Nigro. Non sono necessari riferimenti temporali per capire l’evoluzione linguistica che c’è stata nel corso degli anni; viene offerta al lettore una miscellanea che comprende il pensare, il sentire, l’avvertire, il credere, lo sperare, il soffrire e il resistere e che prescinde, dal sapere quello che è stato il giorno esatto in cui un sentimento ha prevalso sull’altro. Solo pochi riferimenti scelti e chiariti dall’autore, per tracciare una mappa, ma la struttura è quella di un labirinto in cui, pur ripercorrendo temi già citati, parranno ai nostri occhi come luoghi inesplorati. Scriveva Sophia De Mello Breyner Andresen: “Non l’uomo, ma i segni dell’uomo,/la sua arte, le sue abitudini, il suo violento azzurro,/…/I segni dell’uomo dicono la storia dell’uomo.” Cosa ha a disposizione il Poeta, pertanto, se non la bellezza e la grandezza della Poesia che diviene “segno dell’uomo che dice la storia dell’uomo”. Mezzo per appropriarsi delle parole, lasciando ad esse la libertà di potersi esprimere, eternamente, in maniera svincolata. “Lascio tracce presuntuose di me nel futuro, figli/di carta” (Autoeredità). Chi è avvezzo alla Poesia, dunque, non troverà nei versi di Michele Nigro, nessun rimando a qualcosa di già letto, nessun eco di immagini note o usurate. È una parola nuova, originale e che non necessita di alcun riferimento, ma si muove con padronanza all’interno dei versi dotati di una sfrontatezza e una sicurezza nel non voler mai imitare, creando così, una scrittura riconoscibile in quanto personalissima. “con piglio eversivo/aggiungi, non richiesto/un tocco personale/all’effimero passaggio” (Comparsata). Tematiche incalzanti, come tarli che rodono dentro, si sfogano bruciando e liquefacendosi al fuoco dell’inchiostro, da qui le immagini in parole, spesso vere e proprie saette, anatemi contro situazioni subite e osservate; l’invettiva usata come mezzo che, come catarsi, purifica lo spirito del poeta fino ad una nuova ricaduta. “La mancata partecipazione disturba!” (Impermeabile). Ma non vi aspettate un linguaggio derisorio perché, anche dove appare una certa insofferenza, una parvenza di odio nei confronti di aspetti della vita umana e delle umane debolezze: “Con un sorriso declino l’invito ad allinearmi” (Assertiveness), vi è una sorta di rispetto, capace, nel suo essere dissacrante, di una certa sacralità, che è poi quella di chi ha lo sguardo che va oltre ciò che appare. Come una preghiera che pur senza parole, arriva comunque in cielo, perché il pensiero scavalca ciò che dovrebbe essere, per giungere all’essenza di ciò che è. “Oscillo, eterno cercatore/tra appartenenza e libertà/progresso e conservazione/tra il presente e i ricordi/bisognoso di entrambi i lati.” (I due lati della casa). Poesia, quest’ultima, che è una sorta di manifesto di questa oscillazione continua tra l’essere e l’apparire, tra le varie esigenze, spesso contrastanti tra di loro, eppur necessarie. Ma tanti possono essere i rimandi a quello che è il sentire di Nigro. In “Crudeltà” ad esempio, carrellata spietata di immagini dolorose, dove ogni verso sbattuto su carta è figlio di uno sguardo, capace di distillare da un evento, il momento terribile della sconfitta. Una visione cosmica, attraverso la quale si intravede l’amore per la natura, per la vita che comprende anche la morte, la ritroviamo in “Elementi”. Non siamo di fronte ad una poetica dell’arrendersi, del lasciarsi sopraffare, nonostante le ferite della vita: “come un rassegnato tronco spezzato/che ancora sogna germogli” (Autoscatti). Ma presenti innanzi ad una lirica viva, dinamica, munita di artigli, pronta a restituire graffi subiti, ma capace al contempo di deporre le armi, regalando sguardi indulgenti. Su tutto, l’amore per la Poesia, compagna consolatrice, balsamo su corpo piagato dal fuoco sacro della Vita: “La realtà riconosce muta/e indifesa/la suprema azione della poesia/sul caos” (Poiesis).
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