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Un uomo che forse si chiamava Schulz
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Un uomo che forse si chiamava Schulz - Ugo Riccarelli - copertina
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uomo che forse si chiamava Schulz

Descrizione


"Da oggi la letteratura europea del Novecento conta tra i suoi maestri un nome in più". Così nel 1970 Italo Calvino salutava la traduzione in italiano dell'unico libro di Bruno Schulz, pittore e scrittore ebreo polacco ucciso nel 1942 dalla pallottola di un ufficiale nazista. Chi era Schulz? Seguendo le tracce della sua biografia e del suo unico romanzo, ma soprattutto lasciandosi ispirare dai vuoti di quel libro e di quella vicenda, Ugo Riccarelli dipinge in questa sua opera (pubblicata per la prima volta nel 1998) il ritratto di "un uomo che forse si chiamava Schulz". La storia inizia in una cittadina polacca dove la famiglia di Bruno ha un negozio di tessuti al dettaglio. Qui Bruno impara a fuggire dalla realtà dipingendo, e soprattutto scrivendo. Ma non può fuggire sempre, in particolare quando la grande storia arriva anche nel suo angolo di mondo...
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Dettagli

2012
Tascabile
30 ottobre 2012
146 p., Brossura
9788804622611

Valutazioni e recensioni

LakesMeadow
Recensioni: 4/5

"Le cose accadono, appunto, cadono e poi noi occupiamo la vita a raccoglierle e metterle in ordine, a discutere, dimostrare, giustificare. Raccontiamo." E come le racconta bene Riccarelli.

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Renzo Montagnoli
Recensioni: 5/5

Da Pag. 128 “ Eravamo, invece, pesci alla mattanza e percorrevamo con diligenza i corridoi sempre più stretti della nostra tonnara. La nostra vita fu capovolta e catapultata in un’altra dimensione e lo spazio in cui muovevamo i nostri passi sempre più incerti si ridusse di giorno in giorno, asservito al trionfo dei regolamenti, consumato insieme alle nostre personalità. Non fummo più persone, ma classi, tipologie e numeri diligentemente trascritti sulle carte e i diagrammi, appesi nelle sale della vecchia casa comunale. Noi, i reietti, fummo passati al setaccio come sabbia grezza da costruzione, vagliati e cerniti per lasciare in un mucchio gli unici mattoni che sarebbero serviti a costruire le gabbie per noi stessi.” Bruno Schulz, nato a Drohobycz il 12 luglio 1892 ed ivi morto il 19 novembre 1942, fu un pittore e scrittore polacco, di famiglia ebrea. A quanto si sa era un uomo che eccelleva nel dipingere, ma era anche uno straordinario narratore, come testimoniato dal suo libro Le botteghe color cannella, una originale autobiografia trasformata in una fantasiosa leggenda dell’infanzia. E proprio l’elemento fantastico colpì Italo Calvino, che non poco contribuì a far conoscere questo autore allorché presentando la traduzione italiana nel 1970 ebbe a dire: “Da oggi la letteratura europea del Novecento conta tra i suoi maestri un nome in più". Di certo Ugo Riccarelli fu fra coloro che lessero questo libro e anche lui ne fu colpito profondamente, al punto da scriverne un’autobiografia romanzata, appunto Un uomo che forse si chiamava Schulz. Se L’amore graffia il mondo, pur piacendomi, mi aveva indotto a ritenere che il romanziere torinese fosse uno scrittore del dolore, tanto ne sono pervase appunto le altre due sue opere che ho letto (Il dolore perfetto e appunto L’amore graffia il mondo), questo libro, che narra la vita di un essere umano dalla nascita alla sua tragica scomparsa, è invece solo pervaso e a tratti, soprattutto nelle ultime pagine, da un senso di malinconia. Bruno Schulz, inginocchiato nel ghetto ai piedi del capitano Gunther della Gestapo, che sta per premere il grilletto della pistola puntata sulla sua testa, rivive in quei pochi attimi quella che è stata la sua esistenza, fin dalla nascita descritta in modo del tutto originale e che crea subito con il lettore un rapporto di viva e interessata partecipazione. La sua vita non è stata monotona, anzi svariate vicende, anche drammatiche, hanno coinvolto la sua famiglia, ma lui si rinchiude in Drohobycz, questa piccola cittadina galiziana, prima parte dell’impero austro-ungarico, poi della Polonia e ora dell’Ucraina. Essa è per lui un ghetto volontario, un ambiente sicuro come la sua grande casa in cui poter dar sfogo alla sua immensa fantasia, dai primi tratti di gesso incerti dell’infanzia ai più considerevoli dipinti della maturità, e poi, consapevole della forza delle parole, arriva quel libro (Le botteghe color cannella) in cui c’è tutta la sua vita e indirettamente la storia di un secolo, il XX, di profondi sconvolgimenti, che tuttavia non turbano l’atmosfera tranquilla e rassicurante della cittadina fino all’invasione nazista, a quei prussiani dispotici, esaltati e criminali di cui aveva paventato anni prima la venuta il rabbino della comunità. La mano di Riccarelli è leggera, lascia parlare il suo personaggio, non ne forza l’espressività, ma è come se l’autore stesso fosse lo spettatore di un film che si proietta davanti ai suoi occhi. Non manca, però, come dicevo una malinconia di fondo, un senso di incertezza che né le mura di Drohobycz, né le fantasie di Bruno possono cancellare. E infatti, fra i tanti animali dei suoi sogni, poco a poco, unica superstite resta una renna ferita, come profonda è la ferita nell’animo di Schulz che vede il suo mondo disgregarsi progressivamente, fino a implodere con l’arrivo dei tedeschi. Tanti libri hanno descritto l’Olocausto, ma, credetemi, come l’ha descritto Riccarelli negli ultimi capitoli di questo romanzo non c’è stato nessuno. Lì la sua narrazione, pur essendo distaccata, ci presenta una realtà tangibile, un’atmosfera opprimente e devastante e ciò senza che si parli di un campo di sterminio. Poco a poco le paure, le privazioni, la perdita di speranza rendono questi ebrei, e fra essi Bruno Schulz, degli esseri privi di volontà, degli uomini rassegnati e pronti ad andare, senza la minima opposizione, al macello, all’ultimo e definitivo sacrificio. Caduta l’illusione dell’arrivo del Messia che con la sua spada fiammeggiante distrugga l’orda nazista e salvi il suo popolo, non resta più nulla se non la morte. Ecco, Riccarelli mi ha stupito nell’aver descritto cosi bene una condizione che a noi, comodamente seduti nelle nostre case, al caldo, ben saziati e sicuri risulterebbe altrimenti non del tutto comprensibile. Ma non è l’unico merito del libro, perché i pregi sono moltissimi, fra cui i protagonisti descritti in modo meraviglioso; al riguardo basti pensare allo zingaro saggio e gobbo Emram, che tutte le primavere arriva con il suo orso ballerino e con gli altri del suo clan nella cittadina, portando una luce di allegria e di poesia, e che per Schulz sarà un grande amico; indimenticabili poi sono Hoffmann, il marito della sorella di Bruno, finito tragicamente, oppresso da debiti familiari che lui non aveva contratto; se il padre di Bruno, nella sua estrema originalità, può sembrare una drammatica macchietta, esemplare è la descrizione di Danuta, la domestica di famiglia, degna di farne parte e che sarà l’unica a salvarsi, perché deciderà di andare per tempo in America, liberandosi dalla inconscia costrizione di quella città, un tempo sicura nella statica tranquillità dell’impero asburgico, ma che gli eventi del nuovo secolo hanno privato della sua intima forza, rendendola un normale agglomerato di case, in balia dei venti di guerra. Quando ho ultimato la lettura di questo libro ho avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte a un capolavoro e per quanto sia a conoscenza del fatto che il giudizio di altri sia piuttosto controverso, a una seconda rilettura la mia convinzione si è rafforzata. Contenuti, stile, misura nella narrazione, capacità di ricreare ambienti e atmosfere, piacevolezza sono tutti elementi che inducono a definire Un uomo che forse si chiamava Schulz il più bel romanzo scritto da Riccarelli, nonché un libro senza tempo, uno di quei testi, stupendi, che manterrà inalterato anche per gli anni a venire il suo valore. Leggetelo, perché di opere così ne appaiono poche nell’immensa produzione letteraria di un secolo.

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Ugo Riccarelli

1954, Ciriè (TO)

Ugo Riccarelli, nato a Ciriè nel 1954, apparteneva a una famiglia toscana e aveva vissuto a lungo a Roma, lavorando nello staff del primo cittadino Veltroni prima e con il Teatro di Roma poi.Aveva studiato Filosofia all'Università di Torino "superando tutti gli esami, ma non sostenendo l'esame di Laurea"."Per molto tempo - scriveva sul suo blog - mi sono occupato di azione e promozione culturale in campo scolastico e teatrale, aprendo un cineclub, fondando un gruppo teatrale, lavorando in biblioteche civiche. Nel 1985 ho iniziato il mio percorso di emigrante al contrario, cominciando a scendere a Sud, verso Pisa dove ho vissuto per 16 anni continuando ad occuparmi di teatro. È di questo periodo la collaborazione con Il Teatro del Tè diretto da Claudio Neri, con...

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