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Robert Grainer, è un uomo semplice e rude, con cui la vita non è mai stata tenera. Persi i genitori nella prima infanzia, adottato da lontani parenti, lavora come taglialegna e operaio nella costruzione di ponti e ferrovie che arriveranno a cambiare l’intero paesaggio del West, in una colonizzazione rapida e spietata dei territori più incolti e desolati dell’America degli anni ’20. “Combattevano contro la foresta dall’alba fino all’ora di cena, abbattendo i giganteschi abeti e segandoli in pezzi di dimensioni appena maneggevoli, compiendo imprese… analoghe a quelle delle piramidi, cambiando il volto delle montagne, parlando poco, comunicando a urla, vivendo con la sensazione appiccicosa della pece nella barba, con il sudore che scioglieva via la polvere dai mutandoni e la incrostava nelle pieghe del collo e delle giuntura, e con l’odore della pece così forte che scorticava la gola e irritava gli occhi, coprendo perfino la puzza delle bestie e dello sterco”. Grainer in ottant’anni di vita laboriosa e onesta patisce di tutto: si scontra con la violenza e l’abbrutimento del prossimo, con il fuoco che gli distrugge la casa e la famiglia, con l’artrosi che gli scardina le ossa, con bambini-lupo e fantasmi reincarnati, con tentativi di linciaggio e suicidi: in un orizzonte fisico e mentale privo di qualsiasi ansia metafisica, si riduce a una solitudine condivisa solo con una cagnolina dal pelo rosso, con l’ululato dei coyote e l’osservazione del cielo solcato da uccelli rapaci. Muore nel sonno, anziano e malato, e il suo cadavere viene scoperto dopo mesi, sepolto poi nella terra inospitale che aveva contribuito a rendere più docile e benevola. Lo stile asciutto di Denis Johnson, privo di enfasi e retorica, accompagna la vicenda esistenziale di un uomo semplice, che accetta con rassegnazione qualsiasi avversità, sentendosi parte inessenziale e sostituibile della natura che lo circonda: natura indifferente o addirittura ostile alla presenza umana.
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