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Se ci si dovesse basare sui riferimenti, sulle ispirazioni cinematografiche di una data opera per farsi trascinare al cinema a vederla, Take Five di Guido Lombardi avrebbe avuto un ottimo risultato assicurato al botteghino visto che le comete seguite per questo lavoro sono titoli come Rapina a mano armata di Kubrick, Le Iene di Tarantino e I Soliti Ignoti di Monicelli. Sarebbe un errore limitare i pregi di questo film agli accostamenti con capolavori del passato: Take Five è un lavoro innovativo, originale, ben girato e straordinariamente recitato che parte dal titolo per definire la ricerca dell’ “irregolarità” narrativa della storia. Il film prende il titolo da uno dei migliori brani jazz che sia mai stato suonato, di Dave Brubeck del 1959, reso unico dal caratteristico ritmo a 5/4, un ritmo irregolare che dall’uscita del brano portò Take Five a divenire una frase idiomatica che letteralmente significa “prendine cinque”. E Guido Lombardi, per la sua seconda prova da regista dopo Là-bas, ne ha materialmente presi cinque, di protagonisti della storia che ha scritto e portato sul grande schermo. Cinque “irregolari” in una città “irregolare”, Napoli, alle prese con una rapina milionaria: sintesi più breve non potrebbe esserci, e anche la trama, raccontata semplicemente e in maniera succinta, non può dare il giusto valore a questo film. Take Five è un film “jazz” girato in una città “jazzy”, e i protagonisti raccontati sono come degli “assolo” uniti nello stesso brano da un abile e geniale musicista; Guido Lombardi ha girato un classico “caper movie” (film sul colpo grosso-di rapine) riuscendo ad allontanarsi dai canoni stereotipati del genere, provvedendo a lavorare sul corpo e a disegnare la caratterizzazione dei personaggi eludendo gli eccessi narrativi e puntando sugli sguardi, sulle espressioni e sul mutamento degli stati d’animo e del comportamento dei protagonisti nell’evoluzione della storia principale.
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