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Anno edizione: 2022
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«In un’epoca dove sempre più si restringe il campo delle cose di cui si può ridere, Reza non rispetta niente: né la famiglia, né il matrimonio, né la donna, né il cancro – e nemmeno, sacrilegio!, i viaggi “turistici” ad Auschwitz» – Franz-Olivier Giesbert
«Reza, come sempre, riesce a restituirci le piccolezze della natura umana, le nevrosi famigliari, il bilico scandaloso di tutto quello che dovremmo – o vorremmo – tacere e che affiora a tradimento, attraverso uno stile che sembra aver affinato alla perfezione: approcciarsi alla verità tramite gli infiniti inciampi delle voci che mette in scena.» – Veronica Raimo, Tuttolibri - La Stampa
«Non cerco di idealizzare l’uomo. Tanto meno di sminuirlo, ovviamente. Voglio soltanto parlare della sua impotenza, della sua incapacità a uscire da se stesso. Calare i personaggi in un contesto “sacro”, in un’ambientazione storicamente carica di tragedia, e vederli andare avanti con i loro piccoli litigi, le loro piccole meschinità – cioè le cose grandi e le cose piccole di tutti i giorni, e il fatto che siano quelle piccole a prendere il sopravvento è sempre stato il mio tema. Il piccolo che supera il grande. Le cose ordinarie che superano quelle eccezionali.» – Yasmina Reza, intervista a La Stampa
Yasmina Reza possiede un orecchio assoluto per «la musica degli uomini e delle donne», e il talento di riprodurla creando personaggi indimenticabili, di cui mette a nudo i lati comici non meno di quelli patetici. Senza sarcasmo, tiene a precisare lei stessa, ma con profonda empatia, poiché tutti sono minacciati dall’insignificanza e dalla malinconia, dallo sfacelo della vecchiaia e dal tempo, che incessantemente ci sottrae la memoria pur non riuscendo a cancellarla completamente. Ed è così anche in questo romanzo, che ci fa entrare nel cuore di una famiglia di origini ebraiche, i Popper, e più precisamente nei complessi, e non di rado conflittuali, legami fra tre fratelli: Jean, il narratore, «quello di mezzo», cresciuto all’ombra del maggiore, il Serge del titolo, un cialtrone bigger than life, inconcludente, superstizioso, scorbutico, scorrettissimo, fragile e seducente; infine Nana, la più piccola, moralista e petulante. E poi figli, nipoti, mariti, ex amanti, a formare un intreccio di voci corrosivo e scintillante. Le tensioni culmineranno in una resa dei conti che avverrà nel corso di una visita ad Auschwitz, tra orde di «gente in tenuta semibalneare, canottiere, sneakers colorate, pantaloncini, tutine, abitini a fiori».
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- Accettiamo che la vita sia una faccenda di solitudine fintanto che c'è un futuro. -
Conflitti familiari e non raccontati in maniera non-conforme.
Questo libro per me è un grosso “mah”. L’idea di base poteva anche essere buona (tre fratelli ebrei che partono per Auschwitz), il problema è che secondo me è stata sviluppata male. A giudicare da come viene presentato nella quarta di copertina, il viaggio dovrebbe essere il punto focale della narrazione e invece si riassume in tre pagine di numero! Inoltre, mi aspettavo che questo viaggio provocasse qualche cambiamento nei protagonisti, ma così non è: al contrario, è un’ulteriore dimostrazione di come ì personaggi di questo libro siano tutti, chi più chi meno, dei casi umani. Solo verso il finale accade qualcosa che scuote un po’ la narrazione, ma non basta a salvare tutto il libro. All’autrice va comunque una nota di merito per il suo stile ironico e pungente. Magari sono io che non l’ho capito, ma a me questo libro non è proprio piaciuto.
Recensioni
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