(Pietroburgo 1893 - Mosca 1984) scrittore e critico sovietico. Fu uno dei più prestigiosi rappresentanti del formalismo, cui diede un contributo fondamentale con il saggio-manifesto L’arte come procedimento (1917) e con numerosi altri scritti teorici, tra cui quelli raccolti in Sulla teoria della prosa (1925) e Materiale e stile in «Guerra e pace» di L.N. Tolstoj (1928). A Šklovskij si deve la messa a punto di alcuni concetti basilari della teoria formalista, come quello della natura puramente convenzionale dell’opera d’arte in quanto somma di «artifici» (cioè delle tecniche deliberatamente usate dall’autore) e quello dello «straniamento» (il processo per cui l’immagine poetica «strania» l’usuale presentandolo in una nuova luce). Polemica e provocatoria figura di animatore letterario, Šklovskij svolse la sua ricerca in stretto contatto con l’avanguardia futurista e fu membro del gruppo dei fratelli di Serapione. In numerose opere in prosa, in cui il progetto narrativo, o saggistico, o memorialistico, è continuamente sopraffatto dalla tendenza alla digressione (sull’esempio dell’arte di L. Sterne) e alla frammentarietà (sull’esempio della scrittura di Rozanov), fornì brillanti verifiche delle sue intuizioni teoriche: Un viaggio sentimentale (1923), Zoo o lettere non d’amore (1923), La mossa del cavallo (1923), La terza fabbrica (1926). Con la fine del formalismo (causata dalla sua crisi interna oltre che dal massiccio attacco della critica marxista), la sua attività nel campo teorico si fece meno intensa: nel periodo staliniano lo scrittore si dedicò per lo più al cinema, scrivendo numerosi soggetti; nel 1940 pubblicò un libro di ricordi su Majakovskij. Sono da citare anche i saggi Sulla prosa d’arte (1959) e Lev Tolstoj (1963), che indicano uno sforzo di avvicinamento all’estetica del realismo socialista, l’autobiografico C’era una volta (1966), Sua maestà Ejzenštejn (1977), saggio-biografia sul grande regista sovietico, e L’energia dell’errore (1983), divagazioni su temi tolstoiani.