(Megalopoli 200 ca - 118 ca a.C.) uomo politico e storico ellenistico. Figlio di Licorta, uno dei capi della lega achea, nel 169 fu nominato ipparco, occupando uno dei posti più alti della lega: e per questa sua condizione fu deportato a Roma con altri mille ostaggi, nel 168, sotto l’accusa d’aver favorito i macedoni. E a Roma rimase per sette anni, legandosi di profonda stima e amicizia con l’ellenizzante Africano Minore, che seguì nei grandi assedi di Cartagine (146) e Numanzia (133). Varie volte dovette intervenire a favore dei suoi compatrioti, divenuti ormai sudditi romani dopo la distruzione di Corinto. Morì in patria per una caduta da cavallo, a ottantadue anni. Di alcune opere storiche di P. conosciamo solo i titoli: Filopemene, biografia del generale e politico di Megalopoli, conosciuto dall’autore in gioventù; la Tattica, trattato sulla guerra; Intorno all’abitabilità della zona equatoriale, testimonianza dei vasti interessi e dei viaggi di P.; La guerra di Numanzia, monografia della lunga contesa contro i celtiberi, alla cui conclusione partecipò. Delle Storie, grande affresco, in quaranta libri, delle vicende di Roma dalla prima alla terza guerra punica (264-146), non ci è rimasto che il gruppo dei libri 1-5, ed estratti bizantini di varia estensione, specie per i libri 1-16 e 18. Le Storie furono scritte in varie epoche, a partire dal 160 circa, anno in cui P. tornò libero, nell’ambiente filoellenistico del circolo di Scipione Emiliano. I primi due libri contengono un breve panorama degli anni 264-220, il 3-5 le vicende romane e greche fino a Canne (216), il 6 espone la teoria sulle costituzioni e la convinzione di P. circa la preminenza di quella romana; dal 7 infine (cioè dall’anno 215) si segue l’ordinamento annalistico fino al 146. Le Storie di P. segnarono una svolta nella storiografia romana e divennero un punto di riferimento importante per quella ellenistica (Posidonio, Strabone). La storia per P. è essenzialmente «universale», ricostruzione in cui i diversi avvenimenti si intrecciano in un tutto organico, e coincide con la storia di Roma e del suo disegno di unificazione di popoli disparati. Proponendosi di spiegare le ragioni dello sviluppo della potenza romana, P. si impose nello stesso tempo il compito di fornire ai politici una conoscenza scrupolosa sia dei fatti politici e militari, sia delle costituzioni degli stati, nella convinzione che in tale conoscenza essi avrebbero potuto trovare una guida per l’azione (concezione della storia come magistra vitae). Con ciò, da un lato P. sottolineava l’importanza dell’analisi delle fonti e di una razionalistica autopsia delle vicende narrate; dall’altro sviluppava quella concezione pragmatistica e utilitaristica dell’azione umana che tanta fortuna ebbe poi a Roma. Il linguaggio di P. poco o nulla concede all’eloquenza e all’estrosità narrativa: è chiaro ed essenziale, e tendenzialmente protocollare.