Scrittore, critico letterario e filosofo francese.
Nato nella regione Saône-et-Loire, cresce in una casa agricola, già dimora per generazioni della famiglia cattolica della madre. Ha due fratelli e una sorella. Il padre è professore.
Consegue il diploma prestissimo, ma a causa di un intervento al duodeno (che si rivelerà inutil) è costretto a ritardare l'iscrizione all'università.
Studia filosofia a Strasburgo, e lì incontra Emmanuel Lévinas, che lo introdurrà alla fenomenologia di Heidegger e di Husserl.
Nel frattempo coltiva la sua passione di lettore, dedicandosi molto all'opera di Marcel Proust e a quella di Paul Valéry.
Per un certo periodo, studia anche medicina. Incuriosito dal giornalismo di critica sociale e letteraria, inaugura una collaborazione con diverse riviste di reazionarie. Questo non gli impedisce, però, di professare un'aperta avversione nei confronti del nazismo. Sarà fra i primi a prendere posizione, sulle colonne del quotidiano «Le Rempart» (diretto daPaul Lévy), contro le prime deportazioni di ebrei verso i campi di lavoro.
Nel 1936, anno nel quale muore il padre, comincia a collaborare con il mensile «Combat» (diretto da Jean de Fabrègues e Thierry Maulnier). L'anno seguente si distacca dalla produzione di polemista, e conosce Jean Paulhan, editor presso Gallimard.
Nel 1940 segue il governo di Vichy fino a Bordeaux dove lavora al «Journal des débats» (che sarà arricchito dalle sue cronache letterarie), e dove incontra Georges Bataille, altro amico di grande importanza.
Nel 1944 rischia la fucilazione, ma è salvato in extremis. Dopo la fine della II guerra mondiale, Blanchot lavora praticamente solo in veste di scrittore e critico letterario, collaborando alla «NRF» e assurgendo presto al ruolo di punto di riferimento di molti intellettuali.
Nel 1957 muore la madre. Nel 1958 fa ritorno a Parigi, dove diventa amico di Robert e Monique Antelme, Louis-René des Forêts, Maurice Nadeau, Marguerite Duras, Dionys Mascolo, e conosce anche Elio Vittorini, che lo inviterà a collaborare al "Menabò".
Assieme a Vittorini, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Michel Leiris, Günter Grass, Hans Magnus Enzensberger e altri, Blanchot progetta una «Revue internationale» partecipando alle riunioni del 1960 con entusiasmo. Il progetto però non partirà mai, e Blanchot ne sarà profondamente deluso.
Alla morte di Bataille, nel 1962, compone uno scritto sull'amicizia, poi inaugura una importante corrispondenza con il filosofo Jacques Derrida.
Cominciano a rendergli omaggio intellettuali appartenenti a diverse aree, e nel 1966 gli viene dedicato un numero monografico di «Critique», con interventi di René Char, Paul de Man, Michel Foucault, Jean Starobinski e altri.
Durante i caldissimi momenti di scontro nel maggio del 1968, Blanchot esce dal suo relativo isolamento, e prende posizione in favore degli studenti. Negli anni successivi dà alle stampe diversi testi che accusano Heidegger per il suo silenzio a proposito dell'olocausto, Nel 1972 pubblica "L'ultimo a parlare", sentito omaggio a Paul Celan e alla sua poesia.
Filosofia e letteratura, ion Blanchot, trovano una composizione di raro equilibrio. Dal punto di vista politico, Blanchot compie un itinerario periglioso e intellettualmente complesso, passando da un'iniziale simpatia per le idee di destra a un'adesione pugnace al pensiero dell'estrema sinistra.
Fra le sue opere più importanti ricordiamo Aminadab (1942), La follia del giorno (1949 e 2002), Lo spazio letterario (1955), L'infinito intrattenimento (1969), La scrittura del disastro (1980) e L'istante della mia morte (1994 e 2002).