(Madrid 1809-37) scrittore spagnolo. A diciannove anni cominciò l’attività giornalistica, riuscendo a vivere del proprio mestiere e attirandosi parecchie noie dalla censura per i suoi articoli di satira e di costume, firmati con vari pseudonimi, fra cui quello di Figaro. A ventisette anni, innamorato di una donna sposata, non trovò altra soluzione al suo dramma sentimentale che uccidersi con un colpo di pistola alla tempia. «Romantico» nelle vicende personali (fu detto il Werther madrileno) e massimo prosatore del romanticismo spagnolo, L. fece concessioni al gusto del tempo solo nelle opere minori: Il paggio di Don Enrico il Dolente (El doncel de Don Enrique el Doliente, 1834), il dramma Macías (1834), alcuni versi mediocri. Ma di fronte ai problemi politici e sociali di una Spagna ottusamente conservatrice, soffocata da decrepiti pregiudizi, anziché evadere in mondi fantastici e «pittoreschi» come molti suoi contemporanei, L. si impegnò subito e totalmente, vivendo la propria passione civile con un senso altissimo della moralità. I suoi articoli di costume, pubblicati fra il 1832 e il 1837 e poi, dopo la sua morte, più volte raccolti in volume e antologizzati (Articoli di Figaro, Artículos de Fígaro), testimoniano una drammatica volontà di non-conformismo, un profondo travaglio spirituale. Moralista che univa la lucidità settecentesca a una disperata passione romantica, L. fu quasi dimenticato durante l’Ottocento, mentre agli scrittori della generazione del ’98 apparve come un maestro e un precursore, anche come creatore di una lingua viva, nervosa, essenziale, modernissima.