(Firenze 1540-89) letterato italiano. Massimo esponente dell’Accademia della Crusca, scrisse commedie (Il granchio, 1566; La spina, postuma, 1592) e rime di scarso valore. Importante, invece, la sua attività di filologo e di grammatico (Avvertimenti della lingua sopra ’l «Decamerone», 1584-86), legata alle teorie di P. Bembo e in genere al purismo classicistico del primo Cinquecento, di cui fu strenuo difensore. Le dure critiche e censure che, con lo pseudonimo di Infarinato, rivolse alla Gerusalemme liberata e ai detrattori di L. Ariosto (Risposta all’«Apologia» di T. Tasso, 1585; L’Infarinato secondo, 1588) evidenziano l’isterilirsi della critica tardocinquecentesca nel formalismo retorico. A lui si deve inoltre la «rassettatura» del Decameron (1582), cioè l’edizione purgata dell’opera, commissionatagli per motivi di moralismo controriformistico e destinata a soppiantare la precedente «rassettatura» curata dai «deputati» sotto la guida di V. Borghini (1573), i cui interventi censori erano stati giudicati inadeguati.