(Eleusi 525/24 - Gela 456/55 a.C.) tragediografo greco.La vita e le opere Nato da ricca famiglia a Eleusi, lo si volle per questo adepto dei misteri eleusini, tanto più che pare fosse processato e assolto per averne violato inconsapevolmente il segreto; ma gli elementi eleusini non hanno peso nella sua opera. Fu attore e musicista, oltre che poeta. Di capitale importanza la sua partecipazione diretta alle guerre persiane, che contribuì a definire la sua visione della storia e del ruolo di Atene. Fu in Sicilia alla corte di Ierone di Siracusa, dove entrò in contatto con i circoli pitagorici e ritornò anche dopo il successo ottenuto con l’Orestea (458 a.C.).Su 73 titoli tramandatici (ma non si può accettare questa cifra, se non come indicazione della fecondità artistica del tragediografo) sono rimaste solo sette tragedie, di cui due, Le supplici e Prometeo incatenato, di impossibile datazione. Della tipica trilogia eschilea, in cui l’azione delle tragedie è strettamente collegata, ci rimane un esempio nell’Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi), che è anche l’unica trilogia del teatro greco giunta fino a noi. Le supplici ha la struttura più arcaica. Narra la vicenda delle Danaidi che si rifugiano ad Argo per non doversi sposare; nelle due tragedie perdute si narravano probabilmente le nozze forzate, l’uccisione dei mariti e si esaltava la figura di Ipermestra, l’unica che risparmia lo sposo e obbedisce alle leggi benefiche d’amore. In questa tragedia protagonista è il coro delle fanciulle; l’attenzione è concentrata sulla situazione tragica del re di Argo, lacerato tra il rispetto per le leggi dell’ospitalità e il timore di rappresaglie se le supplici verranno accolte; queste ultime sono insieme vittime e prevaricatrici, nella loro disobbedienza alla legge fondamentale della vita che vuole l’unione tra l’uomo e la donna. Il Prometeo incatenato, anch’esso primo di una trilogia, vede il Titano punito da Zeus per aver donato agli uomini il fuoco sottratto agli dei. Egli non cede a inviti di sottomissione, predice la nascita del suo futuro liberatore e rifiuta di rivelare a Zeus il segreto della sua rovina. Il dramma presenta problemi notevolissimi: Zeus è il tiranno ingiusto e il dio supremo, Prometeo l’eroe e il blasfemo insieme. Volendo evitare la visione romantica, estranea allo spirito eschileo, di un protagonista celebrato come ribelle alle leggi divine, si può pensare che nel resto della trilogia si conciliassero forze olimpiche e forze prometeiche, vecchio e nuovo mondo. I persiani (472) è l’unica tragedia storica rimastaci. Nella reggia di Serse, davanti alla regina Atossa e a un coro di vecchi dignitari, un messo, l’ombra evocata del morto Dario e infine Serse, il re sconfitto, parlano della guerra lontana, della vittoria dei greci. L’abbattimento della potenza persiana è giustificato con l’empietà di Serse, che ha violato le leggi naturali; ma l’esaltazione della Grecia non impedisce di cogliere il dramma dei vinti presi in un gioco di forze soverchianti. I sette a Tebe (467) è l’ultima di una trilogia che narrava le sciagure della casa di Laio e di Edipo. Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si contendono il regno, l’uno come invasore, l’altro come difensore di Tebe. Entrambi periranno in un duello fratricida. Il finale, in cui a Polinice è negata sepoltura, è probabilmente spurio, dovuto all’influenza dell’Antigone di Sofocle. Spicca il personaggio di Eteocle, re giusto e insieme empio uccisore, in cui la necessità di salvare la città si tinge di colpa per l’odio verso il fratello. La trilogia Orestea (458) narra la morte, per mano di Clitennestra e del suo amante Egisto, di Agamennone, tornato vincitore da Troia (Agamennone); la vendetta di Oreste, figlio dell’ucciso, che non esita di fronte al matricidio (Coefore); il rimorso di Oreste e la sua persecuzione da parte delle Erinni, le dee incaricate di punire chi ha violato le leggi del sangue, fino alla serena conclusione in cui, davanti al tribunale ateniese, le dee vengono placate da Apollo e Atena, che interrompono il funesto concatenarsi di eccidi (Eumenidi). Tutti i personaggi sono vittime e colpevoli insieme, e solo l’intervento divino può riportare un equilibrio irraggiungibile per gli uomini. Tra tutte spicca la complessa figura di Clitennestra, stupendamente delineata nella sua determinazione e nella profondità dei suoi sentimenti.La concezione tragica e lo stile Le opere di E. rivelano una concezione etica salda e precisa. E. vive il distacco dalla Grecia arcaica, dominata dalle forze oscure del destino e dell’«invidia degli dei» per chi è troppo ricco e felice, legata alla giustizia primordiale della vendetta di clan. Nella Grecia del suo tempo la convivenza si va organizzando secondo forme di maggior partecipazione e si vanno razionalizzando le norme di giustizia, affidate all’imparzialità del potere pubblico. Atene assume sempre più il ruolo di città della democrazia, baluardo della «libera Grecia» contro la sete di conquista dei persiani. In questa luce, il protagonista di E. diventa pienamente tragico: non è più il mortale in balia di forze di fronte alle quali è del tutto impotente, ma l’uomo consapevole, sottoposto da un lato al dominio della necessità, dall’altro responsabile delle sue scelte e quindi, in caso di caduta, pienamente colpevole. Il conflitto è essenzialmente etico: scontro di concezioni più che di avvenimenti. E. sente tutta la forza del passato e cerca di recuperarlo senza rinnegarlo, in una visione che concili termini opposti (per es., nel finale delle Eumenidi). Zeus assume il ruolo di garante della giustizia, mentre la serenità e l’armonico equilibrio vivono nella figura di Apollo; contrappunto ad entrambi è il culto della terra, delle arcaiche forze generatrici. La poesia di E., concreta e fantastica nella ricchezza dell’aggettivazione e nell’uso quasi barocco della metafora, presenta anche toni scabri e solenni che non sempre furono compresi. Dopo i trionfi contemporanei, E. fu posto in secondo piano, e soltanto con il romanticismo la cultura europea ne riscoprì tutta la grandezza.