Scrittore italiano. Di umili origini, abbandonò giovanissimo la famiglia per l’apprendistato di pittore a Perugia (1506 o 1507). Dopo i primi esercizi poetici di carattere petrarchesco (Opera nova, 1512), si trasferì a Roma nel 1517 e si impose come libellista con le Pasquinate, sonetti satirici che richiamavano nel nome le anonime proteste anticuriali che si usava affiggere sul torso marmoreo del Pasquino presso piazza Navona.
Allo stesso periodo appartengono le sue prime commedie, Farza e La cortigiana (1525). Ma quando, nel 1526, illustrò nei Sonetti lussuriosi le incisioni erotiche di M. Raimondi, venne fatto segno di un attentato (ispirato dal datario pontificio G.M. Giberti) e costretto alla fuga.
Rifugiatosi presso l’amico e protettore Giovanni dalle Bande Nere, alla morte di questi si stabilì a Venezia. Qui, nel giro di pochi anni riuscì a raccogliere intorno a sé interessi artistici, intellettuali e politici di risonanza europea; critico d’arte tra i più ascoltati, libellista temuto per la spregiudicatezza con la quale usava le armi della diffamazione e del ricatto, fu amico di P. Bembo e di Tiziano e godette persino della protezione di Francesco I e di Carlo V.
La sua produzione comprende opere teatrali (le commedie Il Marescalco, 1527-30; II red. della Cortigiana, 1534; Talanta e Ipocrito, 1542; Il Filosofo e la tragedia in versi Orazia, 1546, considerata la migliore tragedia del secolo), poetiche (I tre primi canti di Marfisa, 1533; L’Orlandino, 1540), prose religiose e agiografiche (Salmi, Passione di Gesù, 1534; Humanità di Cristo, 1535; Genesi, 1538; Vita di Maria Vergine, 1539; Vita di Caterina vergine e martire, 1540; Vita di san Tomaso, 1543) e un ricchissimo epistolario (sei libri di Lettere pubblicati dal 1538 al 1557): vera ribalta personale, in cui l’A. si esibisce come scrittore capace di toccare le corde più varie, stilistiche, morali e sentimentali. Ma la sua fama è soprattutto legata ai celebri dialoghi delle prostitute: Ragionamento della Nanna e dell’Antonia (1534), e Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa (1536), poi indicati con il titolo unitario di Ragionamenti e, più di recente, Sei giornate, e Ragionamento, Dialogo; in queste pagine l’espressionismo dissacrante esaspera le risorse del parlato fino al limite estremo della deformazione parodistica.
L’esigenza di essere costantemente presente, di annullare ogni momento di pausa e di vuoto, è all’origine del poligrafismo dell’A., della sua sperimentazione continua, della sua varietà di registro (che alterna comico, epico, osceno, religioso, laudatorio e ricattatorio). E questa è anche la natura specifica della sua poetica (formulata nelle lettere e nei prologhi delle opere maggiori) che contrappone alle prescrizioni delle scuole e alle stesse norme di equilibrio e di misura, proprie del classicismo, una concezione della poesia come «ghiribizzo» ovvero capriccio, e dell’ispirazione come «furore», con cui viene esaltato il primato della natura e della sua imprevedibilità rispetto alla fissità dei canoni estetici.
Condannato come autore osceno, fino all’Ottocento l’A. fu costretto a una circolazione clandestina e a una valutazione riduttiva. Alla critica più recente, la sua pagina rivela, in luogo della scrittura istintiva e di getto dichiarata dall’A. stesso, una stratificazione calcolata, in cui gli effetti di naturalezza sono costruiti su una fitta rete di riferimenti ad altre opere, di citazioni e di calchi che talora scoprono la volontà esplicita di misurarsi – per dissacrarli – con i modelli del passato.
Fonte: Enciclopedia Garzanti della letteratura, 2007