Nato in una famiglia di antica nobiltà, rimasto orfano della madre a due anni e del padre a nove, fu allevato da alcune zie molto religiose; trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Mosca, la grande tenuta familiare di Jasnaja Poljana e Kazan’, dove nel 1844 si iscrisse all’università, frequentando prima la facoltà di studi orientali, poi quella di giurisprudenza, che concluse nel 1850. In questi anni, disordinati e tempestosi ma anche nutriti da intense letture (J.-J. Rousseau, A. Puskin, N. Gogol’, L. Sterne), cominciò a tenere un diario, che continuò poi per quasi tutta la vita. Nel 1851-53 partecipò alla guerra contro il Caucaso, prima come volontario, poi come ufficiale di artiglieria. Il suo debutto letterario (Infanzia, 1852, prima parte di una trilogia autobiografica completata da Adolescenza, 1854, e Giovinezza, 1857) rivelò subito in lui uno scrittore di grande talento. Seguirono alcuni racconti sempre a sfondo autobiografico come L’incursione (1853), storia dell’autentico assalto di un battaglione russo a un villaggio caucasico. Nel 1853, scoppiata la guerra russo-turca, T. chiese di essere trasferito a Sebastopoli, dove in combattimenti cruenti si decideva la sorte della guerra. La guerra di Crimea, violenta e disastrosa per l’esercito russo, diede a T. argomento per alcuni racconti: Il taglio del bosco (1855), La tempesta di neve (1856), I due ussari (1856) e soprattutto il ciclo dei tre Racconti di Sebastopoli (1855-56), la cui pubblicazione, autorizzata con grandi difficoltà dalla censura, suscitò enormi polemiche per la spietata descrizione della guerra, dell’eroico comportamento dei soldati semplici, del molto meno irreprensibile comportamento degli ufficiali. Congedatosi dall’esercito, T. compì un lungo viaggio in Europa (Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra), dove conobbe P.-J. Proudhon, A. Herzen, Ch. Dickens e assisté con disperato dolore alla morte del fratello Nikolaj, ammalato di tubercolosi. Nei nove anni che vanno dai Racconti di Sebastopoli alla prima parte di Guerra e pace (1865), T. pubblicò qualche racconto, fra cui I cosacchi (1863), ispirato ai ricordi del Caucaso e segnato dalla nostalgia per la vita a contatto con la natura, lontano dalla civiltà ipocrita e corruttrice. All’inizio degli anni ’60 decise di rifugiarsi nella sua tenuta di Jasnaja Poljana, dedicandosi alla gestione della proprietà, all’istruzione dei figli dei contadini nella scuola da lui stesso fondata, ed elaborando una serie di principi pedagogici (pubblicati nella rivista «Jasnaja Poljana», il cui primo numero uscì nel 1862, in alcuni saggi come Sull’importanza dell’istruzione popolare, 1862, e in opere letterarie come I quattro libri di lettura, 1873), che costituiscono ancor oggi materia di interesse e di studio. Si sposò nel 1862 con Sof’ja Bers, da cui ebbe tredici figli (di cui cinque morti in giovanissima età).
I GRANDI ROMANZI. In sette anni T. portò a termine il suo più vasto romanzo, Guerra e pace (1863-69): partito dal progetto di narrare la rivolta dei decabristi del 1825, spostò poi il suo interesse sul periodo 1803-13, dove secondo T. si erano condensati i problemi sociali e politici dei decenni successivi. Il romanzo è delimitato da due date: il 1805, anno della prima sfortunata campagna contro Napoleone, chiusa dalla sconfitta di Austerlitz, e il 1812, anno della travolgente guerra patria che vide insorgere tutto il popolo russo in difesa della propria terra. Sullo sfondo delle due campagne si intrecciano le vicende dei membri di due famiglie dell’alta nobiltà, i Bolkonskij e i Rostov, portatori di valori genuini, contrapposti al corrotto clan dei Kuragin, depravati e disonesti. Tre sono i protagonisti: Natasa Rostova, creatura forte e purissima, di una straordinaria, immediata poesia, simbolo di quell’«armonia del mondo» che l’autore andava inseguendo. Accanto a lei, due figure maschili di grande statura morale: il principe Andrej Bolkonskij, che, in polemica con la fatua società pietroburghese, affronta l’esperienza della guerra, della prigionia e dell’infelice amore per Natasa, raggiungendo con la morte una purificazione spirituale nella fede cristiana; e Pierre Bezuchov, attratto inizialmente dai falsi valori impersonati dalla bella e vanitosa Hélène Kuragina, ma in realtà dominato da una profonda, ansiosa ricerca spirituale, che culmina nell’incontro con il soldato-contadino Platon Karataev, l’uomo giusto per eccellenza, simbolo dell’incontaminata purezza del popolo russo. È proprio da lui che Pierre assorbe il messaggio di fede, fatto non di riti o parole, ma di partecipazione profonda e autentica alla sofferenza, all’esistenza collettiva. Nel romanzo T. condensò il suo pensiero sulla storia, fatta secondo lui non dai grandi condottieri, ma dalla volontà delle masse, dal loro slancio e dalle loro segrete convinzioni, di cui i capi sono soltanto interpreti più (Kutuzov) o meno (Napoleone) attenti.
Il romanzo successivo, Anna Karenina (1873-77), nacque come storia di un adulterio, consumato nel¬ l’ambito dell’alta società. Anna, moglie del noioso e rigido avvocato Karenin, si innamora del bell’ufficiale Vronskij: va a vivere con lui, con un gesto ribelle alle convenzioni che crea scandalo. Divorata da una passione senza sollievo, da una gelosia ingiustificata, messa al bando dal proprio ambiente, Anna si suicida, mettendo così sotto accusa soprattutto l’atteggiamento gretto, conformista, puritano della società del suo tempo che troppo facilmente condanna e respinge chi non si adegua ai suoi rigidi canoni. Nel romanzo c’è un altro personaggio significativo, il proprietario Levin, dedito alla conduzione delle proprie terre: egli è alla costante ricerca di una via spirituale su cui costruire la propria vita e la trova nelle parole di un vecchio contadino, che lo spinge, come Pierre in Guerra e pace, a trovare il bene nella comunione di vita e di fatiche con il popolo.
LA CRISI SPIRITUALE. Concluso Anna Karenina, che ebbe un successo clamoroso, T. attraversò un periodo di profonda crisi spirituale, che coinvolse tutta la sua esistenza e i suoi valori: così, nella prima metà degli anni ’80, si dedicò a opere di carattere morale e religioso, volte a chiarire a sé stesso prima che al lettore le radici del proprio tormento (Confessione, 1879-80; In che cosa consiste la mia fede, 1882-84; Saggio di teologia dogmatica, 1879-80; traduzione dei Vangeli, 1880-81). Alcune di queste opere vennero considerate dannose dalla censura ecclesiastica, sempre più in polemica con lo scrittore (fece fra l’altro vietare la rappresentazione del dramma La potenza delle tenebre, che venne presentato solo all’estero); nel 1901 il sinodo della chiesa ortodossa decise di scomunicarlo. Vennero delineandosi in questi anni le teorie della non resistenza al male (che attirò il giovane Gandhi, di cui esiste una corrispondenza sull’argomento con T.), del rifiuto di ogni forma di violenza, dell’aiuto a chi soffre ingiustamente (i contadini oppressi, le vittime di carestie, i seguaci di sette perseguitate come i molokany e i duchoborcy, alla cui emigrazione in Canada egli collaborò offrendo i diritti di autore di Resurrezione). L’inquietudine e la ricerca morale di T. ebbero riflessi mirabili in una serie di racconti di assoluta perfezione stilistica e contenutistica, come La morte di Ivan Il’ic (1887-89), sul senso che l’uomo cerca di dare alla propria vita attraverso l’esperienza della morte imminente; La sonata a Kreutzer (1889-90), contro l’educazione sessuale nella società moderna; i drammi La potenza delle tenebre (1886), I frutti dell’istruzione (1886-89) e l’ultimo romanzo, Resurrezione (1889-99), in cui il protagonista Nechljudov è giurato al processo dove viene condannata la donna da lui un tempo sedotta; divorato dal rimorso, abbandona la sua vita di agiato possidente per seguirla e salvarla dall’ergastolo: respinto da lei, si rifugia nella parola evangelica e nella certezza di una vita morale migliore. L’ultimo decennio vede allinearsi altri capolavori, come Chadzi-Murat (1896-1904, pubblicato nel 1912), La cedola falsa (1902-04, pubblicato nel 1911), Padre Sergio (1890-98, pubblicato nel 1912), Appunti postumi dello starec Fëdor Kuz’mic (1905, pubblicato nel 1912), Dopo il ballo (1903, pubblicato nel 1911), dove gli assilli etici dell’autore si intrecciano con violenti atti d’accusa alla società del suo tempo. Accanto a queste opere di straordinaria forza artistica, negli ultimi anni T. scrisse racconti che rispecchiano le problematiche a lui vicine, come i racconti «popolari», dove nella rassegnata morale dell’uomo dei campi T. indicò un esempio di grandezza e di sublime tolleranza (Padrone e servo, 1894-95; Iljas, 1885; Il cero, 1885; Di che vivono gli uomini, 1881; Alesa Gorsok, 1896; Se trascurerai il fuoco non lo spegnerai, 1897-98); o altri, dove prese coraggiosamente posizione su scottanti problemi politici di attualità (Ha bisogno di molta terra l’uomo?, 1904; Divino e umano, 1905; La schiavitù del nostro tempo, 1900; Perché?, 1906; Chi sono gli assassini, 1908-09; Non posso tacere, 1908, in difesa dei rivoluzionari del 1905).
Nel 1897 portò a termine un saggio, destinato a suscitare polemiche accese, nel quale raccolse le proprie idee sull’arte: Che cos’è l’arte, in cui sostenne che il valore di un artista si misura sulla maggiore o minore rispondenza al sentimento e alla coscienza religiosa del suo tempo e di tutto il suo popolo e non di un ristretto gruppo di privilegiati o eletti. Se l’arte non è accessibile e comprensibile agli uomini più semplici, non è arte ma strumento di corruzione e sintomo di decadenza. In vecchiaia T. venne fatto oggetto di autentica venerazione: Jasnaja Poljana era meta di un pellegrinaggio ininterrotto di scrittori, scienziati, politici, religiosi, uomini comuni, giovani da tutte le parti del mondo, attirati dall’inestinguibile attività intellettuale del grande vecchio. Ma, accanto alla fama, cresceva il doloroso conflitto familiare: la moglie non condivideva il suo desiderio di rompere con un’esistenza che contraddiceva i principi da lui propugnati, il suo desiderio di non trasformare l’arte in professione, di non ricevere vantaggi materiali, di non possedere alcunché, la sua rinuncia ai diritti d’autore per aiutare i contadini di Jasnaja Poljana a riscattare la terra, a rendersi indipendenti. Dopo aver più volte meditato la fuga per sottrarsi ai ricatti e alle minacce della famiglia, il 28 ottobre 1910 T. abbandonò la sua casa, ma, ammalato, il 31 fu costretto a fermarsi alla stazione di Astapovo, dove morì il 7 novembre. I suoi funerali ebbero un’enorme partecipazione popolare, nonostante i tentativi delle autorità di limitarla.
Fonte: Enciclopedia della Letteratura, Garzanti 2007